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Intervista con l'Experimental Film Society (seconda parte)

In collaborazione con Federica Iodice 
Traduzione dall'inglese di Silvia Tarquini
E' disponibile sul blog la versione originale in inglese dell'intervista: http://j.mp/EFS_part_two
Questa intervista e' parte di un progetto Artdigiland supportato dall'Accademia di Belle Arti di Napoli

L'Experimental Film Society è un collettivo indipendente di cinema sperimentale, fondato nel 2000 dal regista iraniano Rouzbeh Rashidi e con sede a Dublino. EFS è un progetto che unisce diversi filmmaker da tutto il mondo, legati dalla comune ricerca di un cinema "altro". www.experimentalfilmsociety.com 

 

Alberto Moravia in Il disprezzo scrive: «la maniera meccanica e abitudinaria con la quale si fabbrica la sceneggiatura rassomiglia forte a una specie di stupro dell'ingegno»... Voi che rapporto avete con la scrittura?

Le Cain: Noi abbiamo un’avversione a lavorare in questo modo: avere un progetto e andare ad illustrarlo. Questo per cercare di impiegare tutte le varie tecniche e possibilità, non solo riguardo ad attrezzature e situazioni, ma anche riguardo a ciò che si incontra strada facendo: che cosa sta succedendo in un giorno particolare, che luce c’è, gli incidenti, l’ispirazione che viene da un luogo... Siamo interessati a tutte queste cose, a quanto possano essere potenti in se stesse. A osservare come possiamo dare a queste cose lo spazio per svilupparsi in un film. Quindi, l'idea di partire e dire che abbiamo bisogno di X, Y e Z in questa scena, oppure che per farla abbiamo bisogno di questa e quest’altra ripresa... Non è il modo in cui lavoriamo. Ma, tanto per fare un esempio, uno come Claude Chabrol, che ammiriamo molto, lavorerebbe nel modo esattamente opposto. Per lui, scrivere la sceneggiatura era un processo molto difficile, angoscioso, sofferto. Poi, quando andava sul set, si divertiva e in alcune interviste ha detto che quasi non gli importava quale take di una scena usare. Quindi, quando la sceneggiatura era finita, quando il lavoro duro era fatto, cominciava e lo illustrava con grande abilità.
C’è un altro aspetto… Nell’industria cinematografica la sceneggiatura viene spesso usata come uno strumento di controllo sul film. Una sorta di contratto, un qualcosa che tutela tutt’altro che il controllo del film da parte del regista. Suppongo che noi non potremmo funzionare molto bene in una situazione come questa.

Rashidi: Inoltre forse vale la pena di ricordare che si tratta di una scelta. Si può scegliere di fare un film come Kurosawa, Hitchcock o Kubrick... Sapere in anticipo che cosa si vuole fare, avere un'idea molto chiara, disporre di un progetto. Oppure scegliere di fare qualcosa di simile ai primi film di Philippe Garrel o Werner Schroeter. Qualcosa di simile ad una scoperta, che riguardi le immagini e il suono. Che riguardi non solo i limiti del cinema, ma i nostri stessi limiti. Noi preferiamo sempre iniziare dall’immagine e dal suono, piuttosto che da un testo. Non è necessariamente meglio, è solo un modo diverso di fare cinema. A noi semplicemente accade di preferire questa seconda modalità. Penso che anche se volessi fare un film da un copione, non ci riuscirei. Potrei scrivere una sceneggiatura per ottenere dei finanziamenti, ma non riesco proprio a “illustrare”, non ho questa capacità. Non è una questione di volontà, cosciente, proprio non riesco a farlo.

Le Cain: Io ho provato, ed è stata una catastrofe! Ho ottenuto dei finanziamenti per fare un film da una sceneggiatura e il film è venuto completamente diverso. Quando descriviamo il modo in cui facciamo cinema, molte persone lo trovano strano. Rouzbeh prima ha fatto l’esempio dei musicisti e la musica… Se si guarda alla musica, alla libertà che hanno i musicisti, in particolare i musicisti di improvvisazione, si comprende cosa facciamo noi con il cinema. Non è poi così strano se guardato da questa angolazione.

HE (2012) by Rouzbeh Rashidi

Ho letto il vostro manifesto. Inizia con la frase di Jean Cocteau che dice che il cinema è la morte al lavoro. Ogni film è una esperienza di premorte. È questo concetto che porta avanti il vostro lavoro?

Rashidi: Penso di sì. Quello che lui dice è ovviamente suscettibile di interpretazione, ma per noi... Forse sono solo troppo influenzato dal cinema horror, ma per me il cinema ha fortemente il carattere dei morti-viventi. Come un vampiro. Qualcosa che per metà è vivo e per metà è morto. È in un limbo. Non è nell’inferno o nel paradiso... È da qualche parte in purgatorio. Come in un’agonia costante. Si hanno delle immagini, filmi qualcosa ed è finita lì. Ma quando sei al montaggio e le rimetti in circolazione, vivono di una nuova vita. È uno strano ciclo. La stessa cosa riguarda il medium stesso, il fatto che i film siano proiettati al buio e gli strani aggeggi e le macchine che il cinema ha usato fino all’eccesso per creare situazioni fantasmagoriche, come il kinetoscopio o la lanterna magica. Siamo sempre all’horror. C'è sempre qualcosa di inquietante. Credo che sia per questo che questo tipo di cinema sia molto importante per noi.

Le Cain: Il cinema è anche memoria. È un ricordo, la registrazione audio-visiva di qualcosa. È una memoria che può essere soggettiva o oggettiva, ma in ogni caso è qualcosa che si può prelevare e, veramente, lavorare, manipolare, esaminare. E penso che, stando almeno a quanto ho letto, quello che Cocteau voleva dire con quell'espressione riguarda il fatto che tra un mese il video che stai registrando adesso [indica la fotocamera che registra l'intervista], ci mostrerà identici a come siamo ora, mentre in realtà saremo più vecchi di un mese. E l'estensione di questo è che se questo video sopravvive (ancora non sappiamo cosa succederà alla tecnologia digitale) quando noi saremo morti e sepolti questa nostra immagine sarà ancora qui. Si può vedere la gente che invecchia, si può vedere la morte al lavoro.

Rashidi: Sì... Con Max stiamo sviluppando anche alcune altre idee. Lui una volta ha detto una cosa molto importante per me. Ha detto che io voglio che il mio cinema abbia la stessa qualità del cinema dei fratelli Lumière, quando la gente ha visto il treno venire verso lo schermo nei primissimi film. Il vero senso del cinema, quello che era allora. Noi cerchiamo sempre di creare questa atmosfera, per noi stessi. È molto importante per noi. Facciamo film prima di tutto per noi, ognuno prima di tutto per se stesso, poi per gli amici e soltanto poi per un pubblico più ampio. Il modo in cui intendiamo il cinema riguarda direttamente il nostro metabolismo. Penso che sia molto importante capire questo: noi non pianifichiamo, non abbiamo qualcosa come una strategia di marketing, non miriamo a qualcosa di specifico.  Facciamo le cose in modo molto organico.

Le Cain: Per sviluppare un po’ il discorso sui fratelli Lumière, su quel tipo di reazione… Non nel senso dell’ultimo film di Hollywood in 3D! Naturalmente quando la gente ha visto che il treno arrivava verso di loro è scappata  gridando… Non è questo che vogliamo! Ma per noi è quello il senso delle immagini in movimento, quello di quando il cinema era in fase di invenzione e racchiudeva qualcosa di miracoloso. Molti lo troveranno ridicolo, lo so. Ed è qui, suppongo, che ci differenziamo da molti artisti che lavorano in video. Non ci piace che oggi ci siano immagini in movimento ovunque, in tutto il mondo, e che siano così scontate. Che ad un certo punto, lungo la strada, le immagini in movimento siano diventate essenzialmente un mezzo per fornire informazioni piuttosto che qualcosa esperienziale. Solo un mezzo per comunicare le cose, in un modo che funzioni, nel modo più facile e più pigro. Così noi ci rifiutiamo, forse in maniera donchisciottesca, di darne per scontata anche una sola.

Rashidi: …Stavo leggendo un'intervista in cui Fritz Lang parlava del suo ultimo film, Il diabolico dottor Mabuse. Diceva: «Sto solo cercando di concepire un'immagine che si distingua di per sé». Stava parlando in particolare della scena dell'assassinio, all'inizio. È così facile mostrare degli omicidi. Una persona ne uccide un’altra. È facile se si trasmettono solo informazioni. Ma lui ha appositamente creato questo piccolo spillo o ago. E il modo in cui lui spara alla ragazza... Non so perché, ma ha qualcosa di unico. Rimane in testa. Il modo in cui Lang filma le cose… Quando il personaggio con dei grandi piedi entra nella stanza… È una sola inquadratura, dura tre secondi, ma il modo in cui la gira è così misterioso... Adoro questo aspetto di Fritz Lang. È uno dei miei registi preferiti di tutti i tempi. Noi cerchiamo di fare questo. Provare a creare un'immagine che stia in piedi di per sé, come una sorta di entità, separata.

Che reazione hanno le persone davanti ai vostri film?

Le Cain: Di tutti i tipi! Di solito diciamo che l'unica reazione che non ci piace è l'indifferenza. Non ci piace che la gente non venga toccata dal lavoro. Se lo detestano, bene! Se escono dalla sala, fantastico!

Rashidi: Sì, per noi la reazione peggiore è quando le persone guardano il film senza interagire minimamente, se il film non produce nessun effetto…

Le Cain: Cercare di coinvolgere il pubblico nel processo di creazione, infatti, è una parte importante di quello che cerchiamo di fare. Rouzbeh ha sempre avuto una linea che potrebbe sembrare un po' esagerata, ma in realtà è molto interessante: noi forniamo la linea di base e il ritmo di batteria, e sta al pubblico provvedere alla melodia e alle parole. Ovvero, vogliamo che le persone siano consapevoli di se stesse e delle loro reazioni, speriamo insomma che la visione del film diventi un processo di co-creazione. Perché lo abbiamo detto prima: noi scopriamo quello che il nostro film andrà ad essere solo l'ultimo giorno di montaggio. Quindi anche noi siamo spettatori che vedono il film per la prima volta, e ne veniamo sorpresi… Facciamo un passo indietro e scopriamo quello che abbiamo fatto. In questo senso speriamo che il pubblico possa partecipare almeno un po’ a questo processo. E che ognuno possa, forse, andar via con qualcosa di completamente diverso.

Rashidi: Io penso poi che i nostri film, così come stimolano le capacità emotive e intellettuali del pubblico, incoraggino anche l'interazione fisica. Ad esempio, il modo in cui usiamo lo sfarfallio, il montaggio rapido, i colori pesantemente saturi... O la colonna sonora, un mare di suoni che liberiamo sul pubblico. Andando davvero vicino ai limiti della percezione dell’immagine e del suono. Quindi la visione è un processo difficile per gli spettatori. Ma penso che ne valga la pena.

Le Cain: La reazione peggiore che un film può ricevere è: «Non credo di averlo capito». Come se ci fosse una sorta di chiave intellettuale che può sbloccare tutto in un attimo. Questo spettatore poi potrebbe dire: «Ah, è questo che volevate dire!». Come se avessimo un pezzo di informazione, lo avessimo sottratto e tenuto nascosto alla gente, in un modo molto intelligente, proprio come in una sorta di gioco intellettuale. E se si guarda il film in un certo modo e se si hanno informazioni di un certo tipo si arriva a: «Ah, è questo quello che volevate dire!». Ma noi in realtà non abbiamo idea di quello che stiamo dicendo! (ride). È un’esperienza.
Noi cerchiamo, credo, di sopraffare in qualche modo noi stessi e le altre persone. E vorremmo che poi, tutti insieme, cercassimo di combattere per trovare la via d'uscita da questa esperienza. Dipende molto da chi e che cosa sei, e da come il film ti gratifica o ti respinge.

Nel manifesto parlate di catastrofi. Pensate che sia l'unica possibile fine per il cinema?

Le Cain: La vita è una catastrofe!

Rashidi: Sì!

Le Cain: È stato scritto molto sull’idea della fine del cinema. E ora siamo andati oltre. Il cinema è in costante mutamento, e riemerge in modi molto strani, sorprendenti. Nicole Brenez una volta ha detto, se non ricordo male, che tutta l'arte dovrebbe essere una catastrofe. Mi piace molto questa definizione. Da un certo punto di vista, non sono sicuro se ciò che facciamo sia responsabile, o anche socialmente responsabile. Stiamo cercando di provocare, non nel senso della provocazione infantile e delle persone maleducate, ma stiamo cercando di provocare qualcosa. Per creare qualcosa che in qualche modo scuota le persone. E non sappiamo esattamente come questo funzioni. Tornando ai nostri film, essi sono letteralmente degli esperimenti. Non sono sicuro se siano esperimenti in sicurezza. E non sono sicuro di quale altro scopo possano avere se non quello di osservare che tipo di shock provocano, di vedere come reagisce il sistema nervoso. Ma si tratta comunque della pura percezione. In che modo qualcosa ti colpisce quando attraversi la strada? Non sappiamo cosa stiamo per vedere, momento dopo momento.

Rashidi: Penso che per noi sia molto importante anche un’altra questione: si guarda un film in un cinema, in una galleria, in un museo… Va bene; ma cosa succede quando si va via? Noi vorremmo iniettare qualcosa negli spettatori. Qualcosa che duri giorni, mesi o anni dopo che ne hanno fatto esperienza. Che si ricordi come si è vissuta al cinema un’immagine o un dato suono, come ci hanno colpito. E che in qualche modo si voglia anche ricrearli. Per tornare ad essi. Penso che questo sia importante. Per generare le infinite domande per le quali non abbiamo risposta. In questo modo il cinema diventa un coinvolgimento costante. Quando si vede un film di Philippe Garrel degli anni '70… poi è sempre con noi. Un’immagine alla quale non si può sfuggire, che ti sta sempre addosso... Quel ragazzo su un cavallo... E quell’immagine un po'  bloccata. Non come quando si guarda qualcosa e questa cosa poi sparisce per sempre. Ogni film di Hollywood può fare questo. Ma, si sa, che cosa si può fare con i film... La parola “sperimentale” ha tanti lati negativi. Non vogliamo essere necessariamente sperimentali. Ma vogliamo fare qualcosa di diverso. Qualcosa che rimanga con il pubblico. Qualcosa con cui il pubblico possa convivere.

Qual è la sensazione alla fine di un film?  

Rashidi: Sia quando si comincia un film sia quando lo si porta a termine si ha sempre una strana sensazione di perdita e vuoto. Per me è sempre qualcosa di drastico. Forse perché sono una persona molto drastica. Mi piace guardare le cose in modo esagerato. Perché ci sono così tante cose nella vita che non si riescono a fare. L'unico motivo per rimanere “equilibrati” è la follia del cinema. Per me in pratica è anche un modo di vivere. Ho così tanta energia. Sono una persona piena di energia. E voglio fare così tante cose. Voglio viaggiare, ma non posso, per esempio, diciamo per motivi finanziari. Vorrei fare solo un esempio, ma davvero forse non è il caso. Allora quello che si può fare è mettere tutta questa energia nel fare cinema, per rimanere “equilibrati”. Ma quello che succede durante questo processo ha un’essenza davvero particolare, e quando il processo si conclude si ha una sensazione di perdita, di vuoto. Ancora oggi, dopo aver fatto tanti film, tutto questo ancora non mi è chiaro. Ma so che per me è l’unico modo di vivere. Il cinema ha qualità molto terapeutiche. Come dice Apichatpong Weerasethakul, il grande regista thailandese: «Faccio film per mantenere la calma, per avere pace nella mia vita. E poi condivido questo con il pubblico, in secondo luogo». Davvero credo profondamente che sia questo il senso del fare cinema. Vuoi che cerchi di elaborarlo meglio?

Le Cain: Siamo tutti motivati a fare film in maniera estremamente personale. Probabilmente fino al punto che li faremmo anche se nessuno li vedesse, li faremmo per il nostro equilibrio, proprio come hai detto tu. Anche se non ci fosse pellicola nella macchina da presa, dovremmo far finta, dovremmo filmare qualcosa. Io ho le mie ragioni molto personali, leggermente diverse. Credo che fare cinema per me abbia a che fare in qualche maniera con la ricerca di una mediazione tra la mia percezione del mondo e quello che vedo oggettivamente fuori di me. Talvolta, nel mio caso, c’è un tale abisso tra queste due realtà che deve esserci qualcosa in mezzo. Per fortuna il cinema mi ha fornito questo qualcosa. Non l’avrei elaborato senza il cinema!

A quali progetti state lavorando attualmente?

Rashidi: Abbiamo alcuni progetti molto ambiziosi. Per esempio Maximilian sta ultimando un suo film finanziato con un crowdfunding, Cloud of Skin (Nuvola di pelle). Ma abbiamo anche un film collettivo Experimental Film Society, un lungometraggio di 12 ore che è in corso di realizzazione nel tempo. Mio, di Max, Dean Kavanagh e Michael Higgins. Sarà un film sperimentale di fantascienza e proviene da un progetto video che sto sviluppando dal 2011 chiamato Homo Sapiens Project. Homo Sapiens Project è una sorta di laboratorio di cinema sperimentale, pieno di test, provini ed errori e cose di questo genere. È nato così. Ma ora ha raggiunto il punto che voglio davvero, che ne emerga qualcosa di molto concreto e insieme molto sostanziale. Stiamo lavorando a questo in questo momento. Ma ogni membro ha numerosi progetti personali.

Le Cain: Anche Cloud of Skin, che abbiamo girato nel novembre scorso, è una sorta di emersione da questa collaborazione, dato che Dean e Rouzbeh l’hanno coprodotto e Dean vi recita. Ho iniziato a lavorare anche ad un altro progetto, che sarà girato progressivamente nel corso del prossimo anno, intitolato The Scorpion’s Stone (La pietra dello Scorpione). Giro con una vecchia camera mini-DV, definizione standard. Anche questo, ma è una mera coincidenza, sarà estremamente lungo: sette ore e mezzo, perché questa è la durata del sonno di una notte. E mi piacerebbe proiettarlo in un contesto in cui le persone siano invitate ad addormentarsi durante il film.

Homo Sapiens Project (191-199) By Rouzbeh Rashidi, Dean Kavanagh and Maximilian Le Cain.

Eventuali progetti in corso?

Rashidi: Sì. È un film intitolato The Last of Deduttive Frames (L’ultimo dei frame deduttivi). Abbiamo iniziato questo progetto qualche anno fa e finora abbiamo realizzato, credo, 90 minuti. È un progetto aperto, chiunque può raggiungerci e contribuire con una sezione di dieci minuti. Per la prima serie di questi film abbiamo avuto una semplice regola: ogni film doveva essere di una decina di minuti. Andando avanti, manteniamo la regola precedente e ne aggiungiamo di nuove. È un progetto parallelo per noi. Abbiamo anche un altro progetto chiamato Cinema Cyanide (Cinema cianuro). È un progetto acustico condiviso tra me, Max e Dean. Quello che stavamo facendo con il suono nei nostri film è stato il punto di partenza. Siamo molto interessati ai ronzii, ai suoni ambientali, al rumore ... Una sorta di sound art. Facciamo anche questo.

Le Cain: Ci piace tenerci occupati!