L’amore come eschaton laico (prima parte). Solo gli amanti sopravvivono

La nausea o la noia o l'assurdo o l'incomunicabilità, la catastrofe della figura o della melodia a noi interessa soltanto come clinici della cultura, che intendono partecipare a un consulto decisivo. Senza dubbio non si tratta della concezione oggettivistica della malattia, che da una parte pone il medico sano e, dall'altra, il malato: qui il medico che lotta contro il morbo lo deve vincere prima di tutto in se stesso.

Ernesto De Martino, La fine del mondo, cap. V


Per il legame inestricabile che nella cultura occidentale si è venuto a formare fra Apocalisse e fede religiosa in un eschaton positivo (ma anche fra Apocalisse e condanna degli ingiusti, Apocalisse come castigo quindi), è inevitabile che gran parte dei film apocalittici contengano tematiche di fede, sia pure come meri accenni o semplici sottotrame. Abbiamo già parlato della tematica scritturale che avvolge tutto Codice: Genesi. Anche Io sono leggenda di Will Smith, di pochi anni anteriore, mostrava due degli ultimi sopravvissuti della razza umana litigare sul fatto che Dio esistesse o no; nel romanzo Cell di Stephen King, subito dopo che un misterioso segnale trasmesso dai telefonini ha trasformato gran parte dell’umanità in zombie, i tre protagonisti in fuga da Boston hanno uno scontro prima verbale e poi addirittura fisico con una testimone di Geova che li accusava di fornicazione e che vede tutta l’epidemia zombie come un castigo divino contro l’aborto legalizzato. In The Mist, un altro racconto di King del quale Frank Darabont ha realizzato una trasposizione cinematografica nel 2007, il protagonista, chiuso assieme ad altri sconosciuti in un supermarket al di fuori del quale si estende una misteriosa nebbia piena di mostri, deve difendere suo figlio da una fanatica religiosa che, in un delirio a cui diversi altri personaggi via via aderiscono, vuole sacrificarlo a Dio per la fine del castigo. Tutto il cinema di Roland Emmerich, anche quando distrugge simboli religiosi, si rifà all’Apocalisse cristiana e all’evangelico “gli ultimi si faranno primi”. In questo complesso sistema di legami fra apocalittica cristiana e apocalittica cinematografica o comunque fantascientifica che abbiamo cercato di tracciare nei primi due articoli di questa rubrica, possiamo trovare due estremi: da un lato c’è Il padrone del mondo del sacerdote inglese Robert Hugh Benson, romanzo pubblicato nel 1907 che descrive la società decristianizzata degli anni 2000 mentre inconsapevolmente si avvicinava al Giorno del Giudizio narrato nelle ultime pagine; dall’altro lato, Melancholia di Lars von Trier riprende il tema dell’Apocalisse cristiana in una chiave totalmente atea, nichilista e “stragista”. Tuttavia, nella dissoluzione totale che chiude il film, persino Lars von Trier inserisce un’ultima goccia di speranza, nell’immagine della simbolica capanna che le due protagoniste erigono a mo’ di rifugio nel tentativo di proteggere psicologicamente il piccolo Leo. 

Arrival di Denis Villeneuve (2016)

Arrival di Denis Villeneuve (2016)

In un mondo scristianizzato come il nostro – che obiettivamente sotto diversi aspetti realizza le profezie di Benson di inizio ’900, Giorno del Giudizio a parte – sono sempre meno i film che risolvono le crisi apocalittiche grazie alla fede nel Signore o nelle sue promesse millenaristiche. L’apocalisse non si può risolvere nell’Apocalisse cristiana, come ne Il padrone del mondo, o ne La guerra dei mondi del 1953 e nel remake spielberghiano del 2005, dove gli alieni vengono sconfitti dalla Provvidenza di Dio che ha dotato la nostra aria di batteri. Di questi tempi sarebbe “politicamente scorretto”; al più, la religione è inquadrata come fanatismo, come testimoniano i citati esempi letterari di Stephen King: se il pubblico della fantascienza occidentale degli anni ’50 si aspettava che la salvezza provenisse o da Dio o dall’America benedetta da Dio, noi non abbiamo di meglio da offrire che scienziati e supereroi. Del resto, il pubblico si è abituato a una relativa dose di accuratezza scientifica; giusto un po’ di religiosità orientale è ben accetta, più che altro come fenomeno di costume. Jared Leto cita con grande eleganza la storia di Rachele in una delle scene centrali di Blade Runner 2049; ma si tratta di una citazione archeologica, adatta a un personaggio machiavellico e vanitoso come il suo. Tuttavia è impensabile – sia su un piano sociale che, di riflesso, su un piano narrativo – affrontare una situazione di grave crisi o di “apocalisse” senza la fiducia in qualcosa che possa superare il momento presente e in un nuovo futuro. Arrival di Denis Villeneuve, uno dei film di fantascienza più maturi degli ultimi anni, si dimostra particolarmente fiducioso nel trovare la chiave di volta nella fiducia nella comunicazione, in quella comunicazione a cui la protagonista Louise Banks ancora si affida, scongiurando una guerra infondata fra extraterrestri ed esseri umani, anche quando un attacco di fanatici americani uccide uno degli alieni. Ma lo stesso Arrival, al pari di Melancholia, mostra una fede in quell’eschaton laico – fuori dallo spazio, ma, al contrario della Gerusalemme celeste di cristiana memoria, pienamente inserito nel tempo mondano – che è rappresentato dall’amore.

4:44 Last Day on Earth di Abel Ferrara (2011)

4:44 Last Day on Earth di Abel Ferrara (2011)

Uno dei film più significativi in questo senso è 4:44 Last Day on Earth di Abel Ferrara, presentato a Venezia nel 2011, un anno prima del fatidico 2012 che aveva ispirato anche Melancholia. Il mondo sta finendo, il surriscaldamento globale ha distrutto l’atmosfera terrestre allargando a dismisura il buco dell’ozono. Non si può fare niente per salvare la vita della terra; gli scienziati hanno predetto la fine del mondo per le 4:44 del mattino. L’attore Cisco (Willem Dafoe) e la pittrice Skye (Shanyn Leigh) attendono quell’orario della mattina successiva. Ogni tanto nelle strade di New York, nel cui dedalo si trova il loro appartamento, qualcuno si suicida: ma in generale il sentimento che pervade gli uomini è una tiepida rassegnazione, un’accettazione drammaticamente incondizionata della fine incombente. Un sapore dolceamaro accompagna l’ultima giornata di Cisco e Skye: Cisco segue le notizie del telegiornale e, suo malgrado, si addormenta, pur essendosi ripromesso di restare sveglio tutto il giorno; lei lavora alla sua ultima opera cambiandosi d'abito a ogni getto di pittura sulla tela; i due fanno l’amore sul pavimento; ordinano cibo vietnamita a domicilio e permettono al ragazzo delle consegne di collegarsi dal loro computer via Skype alla sua famiglia in Vietnam. Litigano, perché Cisco, divorziato, ha detto all’ex-moglie di non tenere a Skye più di quanto tenga a lei e alla loro figlia; Cisco allora esce dal loft e va a fare visita a dei vecchi amici che trova impegnati a drogarsi; poi però torna a casa, e attende le 4:44 abbracciato a Skye, mormorando una preghiera buddista. Il film è chiarissimo, quasi didascalico nel suo messaggio; non c’è bisogno di commentarlo se non per rimarcare di nuovo la sua visione pacifica e quasi sussurrata, della fine del mondo. 

Un altro film che si relaziona alle stesse tematiche in una struttura analoga a quella di 4:44, anche se non strettamente appartenente al cinema apocalittico, è Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusch, di due anni successivo: due amanti vampiri, Adam (Tom Hiddleston) e Eve (Tilda Swinton) girano per il mondo di notte, prendendo il sangue dagli ospedali per non uccidere esseri umani il cui sangue del resto è contaminato dall’inquinamento atmosferico, tema molto presente nel cinema del XXI secolo. Dopo una serie di disavventure che coinvolgono anche la sorella di lei, nel finale i due amanti decidono di abbeverarsi nuovamente di sangue umano, mordendo una coppia di innamorati che però, invece di morire, si troverà come loro ad amarsi per l’eternità sotto la luna.

Only Lovers Left Alive (Solo gli amanti sopravvivono) di Jim Jarmusch (2013)

Only Lovers Left Alive (Solo gli amanti sopravvivono) di Jim Jarmusch (2013)

Un eschaton di amore muove anche Gerry Lane (Brad Pitt) del blockbuster World War Z del 2013, ex-investigatore delle Nazioni Unite che durante lo scoppio di un apocalisse zombie – come in ogni viaggio dell’eroe che si rispetti da Ulisse in poi – ha come principale obiettivo quello di riunirsi con la sua famiglia da cui si è dovuto separare nei primi minuti del film; prima però dovrà trovare e sperimentare su se stesso – viaggiando lungo due o tre diversi continenti nel giro di poche ore – un vaccino all’epidemia zombie, che sarà individuato in un patogeno infettivo potenzialmente letale dal momento che gli zombie evitano le persone affette da malattie terminali. Molto simile sotto diversi aspetti a World War Z – e più significativo ai fini del nostro discorso – era invece il già citato Io sono leggenda con Will Smith, uscito nel 2007 per la regia di Francis Lawrence. La trama di Io sono leggenda ricorda vagamente quella dell’Ultimo uomo sulla terra con Vincent Price, essendo tratti dal medesimo romanzo di Matheson – il quale, a onor del vero, li ha sconfessati entrambi: il virologo militare Robert Neville è apparentemente l’ultimo uomo sulla Terra dopo una epidemia che ha ucciso gran parte dell’umanità trasformando i pochi superstiti in zombie. Neville, che si aggira fra le strade deserte di New York accompagnato solo da un cane, è oppresso dai sensi di colpa per non essere riuscito a trovare una cura in tempo; tuttavia continua a cercare la formula giusta, rapendo alcuni zombie per condurre esperimenti nel suo laboratorio. La monotonia violenta delle sue giornate – rese ancora più vuote dopo che ha dovuto uccidere il cane infettato – viene improvvisamente rotta dall’arrivo di una donna e di un bambino, che informano Neville dell’esistenza di una colonia di sopravvissuti nel Vermont, dove sono diretti. Quel giorno – forse la donna ha ragione a credere in Dio – Neville finalmente trova il vaccino; allo stesso tempo il suo rifugio viene scovato e attaccato dagli zombie, allora Neville, dopo aver affidato un campione di sangue decontaminato alla donna, si sacrifica facendosi esplodere assieme agli infetti mentre lei e il figlio si salvano attraverso un canale sotterraneo, per arrivare, nella scena conclusiva del film, nella colonia del Vermont. Ancora una volta è un (ritrovato) amore per l’Uomo e per gli

World War Z di Marc Forster (2013)

World War Z di Marc Forster (2013)

uomini a fare da motivazione al protagonista, qui con l’aggiunta della voglia di un riscatto personale, visto che Neville aveva assistito impotente alla morte della moglie e della figlia in un incidente in elicottero nei primi giorni dallo scoppio dell’epidemia. Laddove l’amore che legava Cisco e Skye era un amore di coppia, immateriale ma destinato a dissolversi anch’esso alle 4:44 del mattino, Neville è un solitario eroe laico che, mosso da un amore più grande verso l’umanità, ora che finalmente ha trovato il vaccino, accetta di morire per permettere alla notizia della cura e al nucleo famigliare madre-figlio di andare avanti. Il sacrificio del salvatore, al pari dell’annuncio della salvezza affidato a una donna e a un bambino e la rinnovata Speranza che guida le ultime azioni del protagonista sono elementi che non dovrebbero passare inosservati, ma andremo avanti nella seconda parte dell’articolo.