L’amore come eschaton laico (seconda parte). Il Cristo nascosto



Nei precedenti articoli, applicando al cinema di fantascienza il modello di analisi proposto da La fine del mondo di De Martino per le apocalissi culturali, siamo partiti dai disaster movies di Roland Emmerich, che nel loro sottotesto rivelano ampie influenze dell’apocalittica cristiana, attraversando poi una serie di altri registi dall’immaginario post-apocalittico fino ad arrivare a Melancholia di Lars von Trier, apocalisse omnidistruttiva e atea; dal finale di Melancholia siamo poi ripartiti per mostrare come alcuni dei più recenti film che rappresentavano un mondo prossimo alla fine indicassero in un amore laico, famigliare o di coppia, l’ultima difesa contro l’apocalisse incombente. A questo punto vale la pena di rispolverare due delle più significative saghe di fantascienza degli anni ‘80-’90, che si relazionavano con la prospettiva dell’Apocalisse da un’ottica piuttosto particolare. La saga di Alien, iniziata nel 1979 con il capolavoro di Ridley Scott, racconta di gruppi di esseri umani che, vagando nello spazio, entrano in contatto con una specie aliena ferina e letale, gli xenomorfi. Se gli xenomorfi arrivassero sulla terra spazzerebbero via rapidamente ogni altra forma di vita; capeggiati nei primi quattro film della saga dall’iconico personaggio di Ellen Ripley (Sigourney Weaver), gli umani devono allora ad ogni costo tenerli lontani dalla Terra, combattendo, parallelamente, anche le corporazioni

Alien di Ridley Scott (1979)

Alien di Ridley Scott (1979)

multiplaneterie (leggi: multinazionali) che vorrebbero usarli come armi biologiche. La saga di Terminator, iniziata nel 1984 con l’omonimo film di James Cameron con protagonisti Arnold Schwarzenegger e Linda Hamilton, ha invece come punto di partenza un'apocalisse nucleare avvenuta a seguito di una “ribellione delle macchine” – un sistema di robot e di computer, programmato per difendere la Terra e l’uomo, ha calcolato che non c’era cosa migliore da fare che sterminare la razza umana – alla quale vittoriosamente si oppone la resistenza umana capeggiata dall’eroico John Connor. Le macchine tentano allora di risolvere la questione “retrospettivamente”, mandando indietro nel tempo un cyborg incaricato di uccidere la madre di Connor prima del concepimento del futuro eroe; Connor, sapendo tutto, manda a sua volta indietro nel tempo il suo fido compagno Kyle Reese con il compito di proteggere e, già che c’è, di fecondare sua madre. Per Alien quindi l’apocalisse è un’eventualità presente ma evitata, quasi un’“idea regolativa” che muove i personaggi del suo universo, sia che la combattano sia che si impegnino direttamente o indirettamente per realizzarla – l’androide David, protagonista dei due prequel Prometheus e Covenant, inizia a provare un insospettabile piacere nell’accarezzare l’idea di sterminare i suoi creatori. Per Terminator l’apocalisse invece è una cosa già avvenuta nel futuro; quello che conta è innanzitutto evitare che l’eroe non venga alla luce, poi, nel secondo capitolo della saga uscito nel 1992 sempre per la regia di Cameron (Terminator 2 - Il giorno del giudizio, titolo molto interessante per il nostro discorso), addirittura l’importante è evitare che si inneschi la reazione a catena che provocherà la ribellione delle macchine e l’olocausto nucleare. Terminator è un po’ più ingenuo e manicheo nel difendere il valore e la bontà della vita umana contro la fredda razionalità sterminatrice delle

Terminator di James Cameron (1984)

Terminator di James Cameron (1984)

macchine; Alien è più fine nella ripartizione delle colpe e delle malvagità, con gli umani che, a differenza degli alveari di xenomorfi, si accoltellano alle spalle l’un l’altro per soldi. Ciò che in entrambi i casi guida i personaggi principali del film, e in particolare le due protagoniste femminili Ellen Ripley e Sarah Connor, è un istintivo umanesimo che non ammette repliche né personalismi. Ripley, alla fine del terzo film della saga, uscito nel 1992 per la regia dell’allora esordiente David Fincher, infettata essa stessa dagli xenomorfi, si uccide per non cadere nelle mani degli uomini della Compagnia Weyland-Yutani; un destino analogo attende il sergente Kyle Reese già alla fine del primo Terminator una volta compiuto il suo dovere di fecondare Sarah. Il loro è un sacrificio incerto, dal risultato precario – il Terminator potrebbe uccidere Sarah Connor e il feto che porta in grembo pochi secondi dopo che Reese è morto; gli uomini della Compagnia potrebbero trovare nuove uova di xenomorfi su nuovi pianeti – ma tuttavia convinto ed eroico. Si fa qui sempre più evidente un ennesimo ritorno del rimosso, che i prossimi due esempi smaschereranno del tutto. Per ora limitiamoci a dire che Ellen Ripley risorgerà, clonata, all’inizio del quarto e attualmente ultimo film della saga originale, in quella che paradossalmente è una delle resurrezioni meno pretestuose della storia dei blockbuster hollywoodiani.

Se Alien e Terminator hanno segnato l’immaginario fantascientifico degli anni ‘80, assieme ad altri film quali Blade Runner, Predator o Robocop, gli ultimi quindici anni sono stati caratterizzati da una inaspettata proliferazione del genere supereroistico. Tutto è iniziato, nei primi anni 2000, con la trilogia di Batman di Christopher Nolan e la trilogia di Spider-Man di Sam Raimi. A partire dal 2008, anno del primo Iron Man con Robert Downey Jr., il Marvel Cinematic Universe di Kevin Feige, inizialmente appartenente alla Paramount Pictures e poi passato alla Disney, ha gradualmente scalato le classifiche; la particolarità che lega fra loro gli attuali 23 titoli dell’universo – buona parte dei quali nei primi posti dei maggiori incassi di sempre – è che laddove nei precedenti film del genere i protagonisti sembravano essere gli unici supereroi al mondo, nel MCU le avventure in solitaria dei singoli supereroi si intrecciano continuamente con quelle degli altri, mentre la ricerca delle “Gemme dell’Infinito” fa da filo conduttore fra le varie sotto-saghe in cui si articola l’insieme. Quello che dallo scorso anno è il più grande incasso al botteghino della storia del cinema, Avengers: Endgame, diretto dai fratelli Russo, mostra tutti i supereroi dell’MCU fare fronte comune contro il titano Thanos che, impossessatosi delle Gemme, alla fine del precedente Infinity War ha arbitrariamente sterminato metà degli esseri viventi dell’Universo con un semplice schiocco di dita. Dopo molteplici viaggi nel tempo, parecchie resurrezioni e grandi battaglie campali, finalmente Iron Man riesce a sottrarre a Thanos le Gemme dell’Infinito e, schioccando a sua volta le dita, distrugge in un sol colpo tutto l’esercito del titano: tuttavia la forza delle Gemme è insopportabile per un essere umano e Iron Man, la sua armatura definitivamente compromessa dallo schiocco, muore fra le braccia di Spider-Man e della moglie Pepper Potts. Curiosamente terminava in un modo analogo anche un altro dei principali blockbuster della saga “avversaria” tratta dai fumetti della DC Comics, Batman v Superman: Dawn of Justice del 2016: il semi-dio Superman (o Kar-El in lingua kryptoniana) si sacrificava per tutta l’umanità uccidendo il mostro Doomsday (guarda caso “Giorno del Giudizio” in inglese); tuttavia, nel successivo capitolo della saga, il carismatico alieno volante risorgeva per aiutare i supereroi e tutta l’umanità contro una minaccia ancora più grande.

Batman v Superman: Dawn of Justice di Zack Snyder (2016)

Batman v Superman: Dawn of Justice di Zack Snyder (2016)

Anche nella dimensione laica o, per meglio dire, post-cristiana del pantheon supereroistico non si può fare a meno di ritornare a quella figura del capro espiatorio sacrificale a cui l’antropologo francese René Girard aveva attribuito l’origine “nascosta” del sacro e in un certo senso della civiltà umana tutta, e che, abilmente camuffata (benché reiterata) nei culti e nei riti precedenti, il Cristianesimo, questo unicum nella storia dell’uomo, aveva apertamente esplicitato collocandola al centro della sua teologia e liturgia. Il tema del sacrificio personale era certamente ben presente anche nei modelli culturali delle civiltà precedenti all’avvento del cristianesimo, ma sotto un’altra chiave, più confusa e meno “cogente”; un eroe greco era pronto al sacrificio per la sua comunità, ma non era questa l’essenza dell’eroe; l’auto-sacrificio era un surplus di eroismo a cui raramente gli eroi, in particolare quelli omerici, consapevolmente pervenivano; anche nel teatro tragico l’eroe protagonista più che sacrificarsi era “sacrificato” dagli eventi e dagli imperscrutabili meccanismi del destino. John Connor, sin dalle iniziali del nome (J.C., come Jesus Christ), si rivela un alter-ego di Cristo, anche se il focus del primo film si concentra sulla Vergine Maria (Sarah Connor) e l’Arcangelo Gabriele/lo Spirito Santo (Kyle Reese) con molteplici richiami alla strage degli innocenti, così come Ellen Ripley, nel suo sacrificio e nella sua resurrezione, ricapitola in sé gli ultimi episodi della vita di Cristo; l’etereo Superman si colloca a metà strada fra la rielaborazione della mitologia greca e la rivisitazione di quella cristiana, Iron Man è fondamentalmente più vicino a un eroismo greco, sbeffeggiante e gaudente; ma se tutti compiono un sacrificio consapevole, sofferto e deliberato, è proprio perché fra la mitologia greco-romana e il mondo laico e de-spiritualizzato della nostra contemporaneità c’è stato l’immaginario cristiano con le sue molteplici implicazioni. Per superare le crisi del presente, di cui i film e in particolare i film apocalittici sono un riflesso e una sorta di alienazione autorisolventesi della negatività nel senso feuerbachiano del termine, non abbiamo molto altro se non la fede nella scienza; ma essa non basta a tranquillizzarci, non del tutto per ora; per trascendere veramente – sia in senso pratico che in senso filosofico – la crisi, abbiamo bisogno di aggrapparci a un amore generico e allo stesso tempo con un oggetto ben definito. Questo fanno tutti i protagonisti dei film che abbiamo analizzato in questo capitolo (in due parti) sull’amore come eschaton laico, da 4:44 a Batman v. Superman: Cisco e Kyle si amano e, attraverso la preghiera, si sentono uniti al resto del mondo e grazie a questo amore affrontano serenamente una crisi che, a differenza delle altre, non ha margini di risoluzione; Gerry Lane rischia la morte per trovare il vaccino che salvi l’umanità tenendo sempre a mente la sua famiglia; Ellen Ripley combatte affinché gli xenomorfi non arrivino sulla Terra ma anche, nel secondo film della saga, per salvare Newt, la sua “figlia adottiva”; in Terminator 2 - Il giorno del giudizio Sarah Connor difende con tutte le sue forze quello che è allo stesso tempo suo figlio e l’unica speranza di un futuro per la razza umana, il dodicenne ribelle John Connor (Edward Furlong); Iron Man col suo sacrificio salva l’umanità, ma anche la moglie e l’amata figlioletta Morgan Stark.

Terminator 2 - Il giorno del giudizio di James Cameron (1991)

Terminator 2 - Il giorno del giudizio di James Cameron (1991)

Gradualmente, da Gerry Lane ad Iron Man passando per Ripley, si fa di nuovo strada nel nostro discorso la figura cristologico-sacrificale che, in un mondo che sta abbandonando il Cristianesimo come pratica e fede religiosa, resta ancora garanzia di rinnovamento in un eschaton successivo alla crisi o più semplicemente di un ritorno all’ordine che precedeva la crisi, quella che in fondo è la funzione di ogni capro espiatorio. Questa rinnovata o per meglio dire ininterrotta aderenza ai simboli e al funzionamento di una religione apparentemente sul viale del tramonto è assai feconda di implicazioni per ogni discorso relativo al superamento delle crisi mondane. Mostra innanzitutto il permanere del modello del capro espiatorio, anteriore al Cristianesimo, anche oltre esso; rivela poi il carattere essenzialmente conservatore dei meccanismi psicologici umani, e che l’intuizione di Freud secondo cui l’inconscio non dimentica nulla del vissuto individuale possa essere replicata e ampliata anche al livello di storia delle culture umane. 

A un sacrificale ancora eminentemente cristologico si rivolge la più bella delle apocalissi cinematografiche. È tempo, penso, di parlare, nel prossimo capitolo, del Sacrificio di Andrej Tarkovskij.