Il lavoro del cinematographer. Conversazione con Christopher Chomyn ASC

Christopher Chomyn ASC è un cinematographer americano; ha conseguito il Master in Fine Arts in Produzione presso la UCLA School of Theatre, Film and Television e insegna Cinematografia presso la USC School of Cinematic Arts. Ha condotto workshop e seminari di direzione della fotografia in tutto il mondo. È un membro dell'American Society of Cinematographers. Tra i suoi film: Como caído del cielo (2019), Mas sabe el diablo por viejo (2018), Hidden Moon (2012), Flying By (2009), Mr. Sadman (2009), Wild About Harry (2009), Sea of Dreams (2006), Lockdown (2000), Phantasm(s) III (1994) e IV (1998), Picture Bride (1994) e Taxi Dancer (1997).

Non lasciare che ciò che non puoi fare
interferisca con ciò che puoi fare.

John Wooden


Leggi in inglese 


Sei nel consiglio direttivo dell’ASC - American Society of Cinematographers, la più antica associazione cinematografica del mondo. Quali
cinematographers ASC ti hanno introdotto e quando?

L'ASC non è soltanto la più antica associazione cinematografica del mondo, credo che si distingua anche come la prima e la più longeva organizzazione professionale operante nell'industria cinematografica. La maggior parte dei membri considera l’appartenenza alla ASC il più alto onore professionale. Questo perché non si può richiedere l'adesione, ma tre membri attivi devono scrivere lettere a sostegno di una potenziale ammissione. Quindi il comitato dei membri si rivolge al direttore della fotografia e lo invita a presentare il proprio lavoro al comitato. Il processo può richiedere molto tempo. Dopo la riunione dei membri, in cui il potenziale candidato presenta il proprio lavoro a una giuria di membri e viene intervistato, viene effettuata una votazione. Quel voto va poi al consiglio di amministrazione, che discute e vota di nuovo. In caso di voto affermativo, il nome del candidato viene presentato a tutti i membri per 30 giorni, durante i quali ogni membro è incoraggiato a commentare. Se non ci sono obiezioni, solo allora, l'invito a entrare a far parte della Società è esteso al candidato. Sono stato incredibilmente onorato di essere stato invitato a far parte dell'American Society of Cinematographers nel 2012. I miei sponsor sono stati Woody Omens, Owen Roizman e Hiro Narita. Vedere riconosciuto il valore del mio lavoro da un gruppo così illustre ed essere invitato a unirmi ai loro ranghi è stato un sogno diventato realtà. Con esso è arrivato un enorme senso di responsabilità. Nella costruzione di una carriera non si può scegliere a quali progetti partecipare, ma si può sempre scegliere di affrontare ogni opportunità con la massima professionalità, creatività e dedizione affinché ogni progetto raggiunga il suo massimo potenziale. Questo livello di impegno riflette il carattere di coloro che guidano il team e si manifesta nel lavoro che ne deriva.

È vero che il tuo primo lavoro nell'industria cinematografica è stato quello di autista per la leggenda dello schermo Doris Day?

È vero. Lavoravo come assistente di produzione e mi era stato assegnato il compito di andare a prendere Doris a casa sua ogni mattina, accompagnarla sul set e riportarla a casa la sera. Era una donna adorabile. Amava l'industria dell'intrattenimento ed è stata molto incoraggiante nei miei confronti. Siamo diventati amici e abbiamo trascorso molte ore seduti nella sua cucina a parlare.

Cosa ha suscitato il tuo interesse per la direzione della fotografia?

Da ragazzo ho visitato l'Edison Museum a East Orange, New Jersey, e sono rimasto affascinato da tutte quelle invenzioni. Lì ho visto le cineprese originali Edison a manovella e ho assistito a una proiezione in celluloide di The Great Train Robbery di Edwin S. Porter, una delle primissime produzioni degli Edison Studios. Ho visto il cinema come qualcosa di simile all'invenzione e ne sono rimasto affascinato. Sapevo cosa volevo fare. Non conoscevo il termine cinematographer e quali fossero i vari ruoli sul set di un film, ma volevo fare cinema. In seguito, mi sono interessato alla fotografia statica e ho trascorso innumerevoli ore in camera oscura, sviluppando e stampando fotografie. Per un po' ho pensato che sarei potuto diventare fotografo di scena. Poi, nel corso degli anni, ho visto così tanti fantastici film, fotografati da direttori della fotografia leggendari, film che mi hanno colpito così tanto che ho voluto fare quello che facevano loro. Freddy Young, Guy Green, Jack Cardiff, Conrad Hall, Gordon Willis, Owen Roizman, sono troppi per nominarli tutti… Pensavo che quello che facevano fosse magico e volevo seguire le loro orme, ma non sapevo come. Sembrava un sogno irraggiungibile. Ho iniziato il college con una specializzazione in Filosofia, ma poi, al primo anno, sono passato alla Storia. Non avevo idea di cosa avrei fatto dopo il college. Mentre ero a scuola ero molto attivo con la fotografia. Sono diventato photo editor del giornale del college, ho lavorato per il dipartimento di Pubbliche Relazioni dell'università e ho lavorato come assistente di un fotografo locale. È stato solo dopo il college che ho visitato la California e ho iniziato a lavorare, e ho iniziato a credere che avrei potuto davvero diventare un cinematographer. Ho letto Masters of Light così tante volte che le pagine si sono staccate. Leggevo «American Cinematographer Magazine» ogni mese, in piedi davanti allo scaffale delle riviste della libreria locale: non avevo abbastanza soldi per abbonarmi o anche solo per comprare un numero, quindi li leggevo dall'inizio alla fine nel negozio. Durante questo periodo, ho cominciato a lavorare come macchinista ed elettricista, e ho iniziato a pensare a come avrei potuto progredire al meglio. Ho imparato molto da ogni produzione e ho sempre trovato cinematographers generosi nel condividere le loro conoscenze.

Come ti sei formato e/o dove hai studiato?

Dopo aver lavorato per alcuni anni come elettricista in una varietà di produzioni, dagli spot pubblicitari ai film della settimana, ho deciso di iscrivermi alla scuola di cinema. L'ingresso richiedeva un saggio creativo e non avevo nulla da inviare, quindi ho comprato il libro di Syd Fields Come scrivere una sceneggiatura in 21 giorni, una macchina da scrivere elettrica e ho ordinato una guida alla formattazione della sceneggiatura dalla WGA, e mi misi al lavoro scrivendo una sceneggiatura per un lungometraggio. Ho fatto domanda alla UCLA School of Theatre, Film and Television e, per miracolo, sono stato uno dei 26 studenti laureati accettati quell'anno.

Come è proseguita la storia?

Prima di iscrivermi a scuola avevo già deciso che volevo diventare un cinematographer, sebbene il programma fosse di produzione generale, con la maggior parte degli studenti che puntavano alla regia. Durante la scuola e dopo, mi sono concentrato sulla ricerca di progetti di riprese. Suppongo di essermi fatto una reputazione come cinematographer, e quindi sono arrivate molte opportunità di girare film di studenti. Man mano che mi avvicinavo alla laurea mi sono concentrato sulla ricerca di opportunità retribuite e, poco a poco, ho trovato lavoro, a volte in progetti interessanti, altre volte meno. Ho filmato di tutto, dai film industriali ed educativi ai video musicali, agli spot pubblicitari. Alla fine ho ottenuto un ingaggio per il mio primo lungometraggio, e poi ne sono seguiti altri.

Cosa ti ispira nel tuo lavoro?

Penso che tutte le forme di espressione provengano dal sé. Quindi il mio punto di riferimento è sempre la mia esperienza di vita. Mentre leggo ogni sceneggiatura, misuro la mia risposta emotiva al materiale e scavo nella mia memoria per trovare esperienze in cui vengano attivate emozioni simili. Il modo in cui queste emozioni si manifestano nel film ha a che fare in gran parte con il proprio gusto e la propria sensibilità. Una volta capito cosa vuole essere un film e come io lo vedo, posso capire come realizzare ciò di cui il film ha bisogno. Quando si collabora con un gruppo, l'approccio, scena per scena, è quello di fondere le idee portate da ognuno di questi individui creativi che lottano per un obiettivo comune.

Quale film del passato ti ha colpito di più dal punto di vista della fotografia nella tua formazione artistica?

Così tanti film mi hanno impressionato e influenzato, soprattutto all'inizio della mia formazione. Il padrino probabilmente ha avuto un effetto molto profondo su di. Altri film da cui sono ossessionato sono: Apocalypse Now, Dr. Zhivago, Il conformista, Butch Cassidy and the Sundance Kid, Great Expectations, Lawrence d'Arabia, Bridge on the River Kwai, The French Connection, The Exorcist, Manhattan, Midnight Cowboy… sono così tanti!

Qual è stato il tuo primo lungometraggio?

Il mio primo lungometraggio è stato un film indipendente intitolato Taxi Dancer. Non avevamo soldi e nemmeno tempo. Era un progetto meraviglioso, ma mancavano le risorse per rendergli giustizia. Ha partecipato ad alcuni festival, ma alla fine non è mai stato distribuito. Successivamente ho fotografato Phantasm III, che ha visto un'uscita nelle sale limitata, ma fa parte di una serie che ha un seguito di culto in tutto il mondo. Realizzare i film dell'orrore è divertente, perché si è liberi di fare quasi tutto ciò che si può immaginare. Le regole che governano il mondo del film non sono limitate dalla realtà. Phantasm III è stata una sfida sotto molti aspetti; il gran numero di effetti pratici (un “effetto pratico” è un effetto speciale prodotto fisicamente e non in post-produzione) è stato particolarmente impegnativo, poiché questa era la prima volta che li affrontavo. Ancora oggi, dopo più di 28 anni, gli effetti reggono ancora, proprio perché erano reali.

Insegni anche alla School of Cinematic Arts della University of Southern California e hai condotto workshop e seminari di fotografia in tutto il mondo. Cosa puoi dirmi sull'insegnamento? Cosa cerchi di trasmettere ai tuoi studenti?

L'esperienza dell'insegnamento mi ha fatto interrogare su me stesso, su cosa faccio, cosa so e come lo faccio. Non basta che chi è insegnante accetti le “verità” che ci sono state insegnate. È essenziale che mettiamo in discussione tutto, in modo da poter comprendere la verità su ciò che facciamo e su come lo facciamo, in modo da poter poi condividere quella verità con i nostri studenti. Il mio più grande senso di realizzazione come insegnante arriva quando un ex studente ha successo e mi supera. Insegnare alla USC mi ha offerto molte opportunità di vedere i miei studenti eccellere nella loro carriera e non potrei essere più orgoglioso di loro. Nelle mie classi cerco di creare un ambiente in cui possano imparare. Non credo che nessuno possa insegnare qualcosa a chi non ha fame di imparare. Cerco di non tenere “lezioni”, ma di mostrare degli esempi. Cerco di rendere le sessioni il più coinvolgenti e partecipative possibile, in modo che gli studenti portino con sé non solo le informazioni, ma anche prove a sostegno di ciò che voglio che capiscano. Insegno che non ci sono errori, ma solo opportunità per imparare. L'"errore" di oggi potrebbe essere esattamente la soluzione necessaria domani, e l'"errore" di domani potrebbe essere la soluzione necessaria oggi. Con questo in mente, incoraggio ognuno di loro a mantenersi aperti e rimanere curiosi e creativi.

Hai fotografato film e spot pubblicitari in oltre 20 paesi in 5 continenti. Hai girato anche in Italia?

Purtroppo non ho lavorato in Italia. Ma se si offrisse l'opportunità giusta, mi piacerebbe coglierla.

Ho avuto modo di vedere una tua intervista su James Wong Howe ASC − ha ottenuto 10 nomination all'Oscar per la migliore fotografia, vincendo due volte, per The Rose Tattoo (1955) e Hud (1963) − per la Phoenix Television (Hong Kong). Hai una particolare ammirazione per Howe?

James Wong Howe è un mio eroe cinematografico. Era un talento straordinario e un esempio di eccellenza. La sua storia è stimolante. Ha iniziato la sua carriera spazzando pavimenti ed è diventato uno dei cinematographers più rispettati dell'era del muto. Ha poi preso una pausa da Hollywood per esplorare le sue radici familiari, quando è tornato, i film parlati erano diventati di moda e in qualche modo ha dovuto ricominciare da capo ed è salito di nuovo ai ranghi più alti della direzione della fotografia.

Hai curato la fotografia di tutti i film del regista messicano José Pepe Bojórquez: Como caido del cielo, Más sabe el diablo por viejo, Legends, Hidden Moon, Sea of ​​Dreams. Bojórquez era uno studente in un corso di studi cinematografici tenuto da te alla USC?

Sì, Pepe era un mio studente. Mi pare che sia arrivato alla USC nel 1999 e si sia laureato con il suo Master of Fine Arts tre anni dopo. Fin dall'inizio ci siamo capiti molto bene.

Cosa puoi dirmi del vostro rapporto professionale?

Abbiamo un rapporto fantastico. Siamo diventati grandi amici e lavoriamo molto bene insieme. Poco dopo essersi laureato alla USC, Pepe mi ha chiesto di leggere una sceneggiatura che aveva scritto, cosa che ho fatto. Gli ho dato un feedback e lui mi ha chiesto se fossi interessato a girarlo, una volta ottenuto il finanziamento. Ovviamente ho detto: "Sì". Il film in questione era Sea of Dreams. Dopo solo poche settimane, Pepe mi ha chiamato di nuovo per dirmi che aveva trovato i finanziamenti. È stato straordinario.

È un regista attento alla fotografia e alla luce?

Pepe è attento a ogni dettaglio. Nulla sfugge alla sua osservazione. È in grado di vedere e ascoltare ogni dettaglio e ricorda tutto. Per lavorare bene con Pepe bisogna essere al top della forma.

Hidden Moon è un dramma romantico, un giallo messicano del 2012 con Wes Bentley, Ana Serradilla, Osvaldo de León e Linda Gray. Musica di Luis Bacalov. All'interno di Hidden Moon c'è una sequenza di un classico film in bianco e nero. Ti piacciono i film girati in bianco e nero?

Amo il bianco e nero. Sono stato felice di avere l'opportunità di girare il film all'interno del film su pellicole negative in bianco e nero 5222 di Kodak. E illuminarlo con una luce dura come quella del periodo in cui doveva essere realizzato. È stata anche una sfida divertente. Hidden Moon è stato girato in Super 1.85 tre perf da 35 mm su un Arricam Lite e infine scansionato a risoluzione 2K.

Cosa ne pensi del passaggio epocale dalla pellicola al digitale?

L'acquisizione digitale è migliorata notevolmente nel corso degli anni e non c'è più motivo di discutere tra pellicola e digitale. L'unica parte del processo che mi manca è la disciplina che accompagnava le riprese cinematografiche in pellicola. La post-produzione digitale rende possibili molte cose che prima non lo erano, quindi da quel punto di vista è una transizione meravigliosa. Anche l'uso del digitale come supporto di registrazione va bene, la tecnologia è migliorata così tanto che il digitale è quasi indistinguibile dall'acquisizione su pellicola, tranne che per l'osservatore più esperto. Ma con il cambiamento dei mezzi è arrivato anche un cambiamento nel modo in cui facciamo le cose sul set, e non credo che siano migliorate.

Il tuo ultimo film con Bojórquez − Count Me the Stars − è in pre-produzione. Di cosa si tratta?

Purtroppo, non sono autorizzato a parlarne in questo momento.

Quale dei film girati con lui preferisci dal punto di vista fotografico?

Questa è una domanda difficile. Ogni film ha le sue sfide e ognuno richiede una soluzione diversa. Mi piace pensare che abbiamo fatto le scelte appropriate per ciascuno di essi.

In generale nella tua carriera quale pensi sia il tuo miglior film?

È come chiedere quale dei miei figli è il mio preferito! Ogni film mi ha fornito l'opportunità di esprimermi, di imparare e di collaborare. In ciascuno di essi abbiamo fatto del nostro meglio per realizzare il miglior film possibile, date la nostra esperienza e le nostre risorse. Non posso dire di considerarne uno "migliore" degli altri, ma posso onestamente dire che ognuno è stato significativo nella mia crescita e sviluppo come cinematographer. Ognuno ha avuto un ruolo significativo nel viaggio della mia vita.

Concludendo: Artdigiland − oltre al blog e al sito − è un progetto editoriale multilingue che si occupa principalmente di direzione della fotografia. Ha pubblicato volumi su Luciano Tovoli AIC-ASC, Giuseppe Lanci AIC, Giuseppe Pinori AIC, Sergio D’Offizi AIC, Tonino Delli Colli AIC, Luca Bigazzi, Vladan Radovic AIC. Quali cineasti italiani del passato e del presente ammiri?

Mi vengono subito in mente sia Vittorio Storaro che Giuseppe Rotunno, ma ci sono così tanti grandi film e cineasti italiani che non potrei nominare tutti gli artisti che ammiro.

 

Official website: www.chrischomynasc.com

Scopri i nostri libri
Scopri le nostre interviste ai cinematographers
Iscriviti alla nostra newsletter!