Dogman e dintorni. Conversazione con Nicolaj Brüel

Nicolaj Brüel, nasce a Copenaghen il 19 agosto 1965: anche suo padre Dirk è un cinematographer. Laureatosi alla National Danish Film School nel 1991, da allora ha lavorato con alcuni dei migliori registi al mondo in spot pubblicitari. Ha ottenuto il successo internazionale con il film The Machine (2013) di Caradog W. James e nel 2018 la consacrazione definitiva grazie al suo magnifico lavoro in Dogman (2018) di Matteo Garrone, con cui ha vinto il David di Donatello per la migliore fotografia. Nel 2019, sempre per Garrone ha illuminato Pinocchio


La cinematografia è una tradizione di famiglia. Anche tuo padre Dirk infatti è un cinematographer: è stato lui a trasmetterti la passione per questa professione?

Sì, è vero. Mio padre è un cinematographer straordinario, ma non credo che sia stato lui a suscitare in me l’interesse per il cinema. In realtà non mi piaceva molto l’industria cinematografica quando ero bambino, ovviamente la incolpavo perché mio padre era sempre lontano da casa per via dei film che girava. Oggi è bello avere la stessa passione, spesso condividiamo idee e discutiamo soluzioni tecniche in merito a diverse problematiche.

Quando eri un ragazzo, quale film ti ha maggiormente impressionato?

Penso che il primo impatto davvero forte che un film abbia avuto su di me sia stato Dersu Uzala di Kurosawa. È un capolavoro. Dovrò presto  guardarlo di nuovo in realtà.

A quale cinematographer ti sei ispirato durante la tua formazione?

All’inizio film come C’era una volta il West di Tonino Delli Colli. Poi Apocalypse Now e Il conformista di Vittorio Storaro, Blade Runner di Jordan Cronenweth… Inoltre adoro il lavoro di Darius Khondji per The City of Lost Children, e Seven ovviamente...

La tua consacrazione, dopo The Machine (Caradog W. James, 2013), arriva nel 2018 grazie a Dogman di Matteo Garrone, film con il quale hai vinto il David di Donatello per la migliore fotografia. Come vi siete conosciuti con Garrone? Prima di Dogman, nel 2017, avevate girato insieme un commercial per D&G…

The Machine, Caradog W. James (2013). Autore della fotografia Nicolaj Brüel

The Machine, Caradog W. James (2013). Autore della fotografia Nicolaj Brüel

La prima volta che ho incontrato Matteo è stato per l’esattezza in uno spot pubblicitario per Renault Car. È stato molto gentile. Era molto diretto e molto coraggioso. Ho pensato che avesse chiesto il mio aiuto per riprendere al meglio l’auto, ovviamente allora non aveva molta esperienza nel girare pubblicità di automobili. Ho pensato che fosse fantastico. Successivamente abbiamo fatto un paio di cortometraggi e anche alcuni spot pubblicitari, tra cui D&G. Penso che sia stato più o meno in quell’occasione che mi ha parlato del suo progetto Pinocchio. Ovviamente ero entusiasta di avere la possibilità di fare una storia così incredibile insieme. A quel tempo stavo cercando di passare dalle riprese pubblicitarie a quelle più specificatamente cinematografiche. Ricordo che un giorno chiamai Matteo da un lavoro commerciale a Madrid per chiedere se c'erano notizie in merito a Pinocchio e mi rispose che aveva deciso di girare prima un altro piccolo progetto. Era una sceneggiatura che aveva tenuto nel cassetto per un bel po' di tempo, ed era arrivato il momento di realizzarla. La storia si chiamava Dogman.

Come è stato il tuo rapporto con lui nella doppia veste di regista e camera operator?

Le riprese di Dogman si sono rivelate una sfida a molti livelli. L'approccio di Matteo al suo lavoro credo sia davvero unico. Gli piace quanta più libertà possibile in tutti i modi possibili. Libertà di giocare con la scena e libertà di cambiare la scena sul posto se non gli piace. Per la mia professione di cinematographer, questo stile di lavoro può essere snervante, soprattutto se ti piace avere tutto sotto controllo come me... Quindi devi semplicemente seguirlo e goderti il ​​viaggio il più possibile. Non ho avuto problemi per la maggior parte del film. Abbiamo usato lenti anamorfiche piuttosto pesanti e abbiamo fatto riprese con camera a mano, quindi aveva senso che Matteo si adoperasse con la camera, certo che è molto più forte di me... Ah ah ah... No davvero, è davvero molto bravo a riprendere con camera a mano!

La tua fotografia in Dogman, volutamente desaturata, fatta di toni lividi, è pallida e spenta come la vita del protagonista Marcello, declinata sulla scala dei grigi (e di un blu che tende al verde) e di colori spenti, quasi a rappresentare un universo post-apocalittico: non a caso in cielo non risplende mai il sole (anche metaforicamente). Come è stato il tuo studio sul personaggio e l’ambiente che lo circonda? 

Dogman, Matteo Garrone (2018). Cinematographer Nicolaj Brüel

Dogman, Matteo Garrone (2018). Cinematographer Nicolaj Brüel

Hmmm… Penso che sia io che Matteo si riesca a trovare la bellezza in un ambiente non necessariamente illuminato dalla luce del sole. A parte questo, volevamo ritrarre il duro ambiente in cui vive il protagonista, in modo realistico ma anche rispettoso, il che significava cercare di trovare un po’ di bellezza in questo luogo fatiscente ma unico.

La toelettatura per cani gestita dal nostro protagonista si trova al Villaggio Coppola, Castel Volturno: cosa puoi dirci in merito alla scelta di questa location? Hai partecipato ai sopralluoghi?

Sì, in realtà avremmo dovuto girare in una zona molto più moderna appena fuori Roma, ma fortunatamente Matteo scelse Castel Volturno. Quel posto è così speciale e la sua unicità gioca un ruolo fondamentale nel film, credo.

I momenti fotografici meno cupi del film sono in relazione al rapporto tra Marcello e sua figlia, come nel caso della gara di bellezza canina e della gita in barca...

Sì, è corretto. Una vita con sua figlia è ciò che l’uomo dei cani sogna. Un bel sogno, quindi la calda luce del sole in contrasto con un mondo freddo, se vuoi.

Paradossalmente, quando Marcello viene incarcerato, ci troviamo di fronte a una luce quasi accecante: nell’ambiente prevale il bianco, le pareti, le lenzuola, le sbarre...

L'idea alla base di questa scelta era mostrare quanto fosse vulnerabile questa piccola creatura in un posto come quello. Davvero non c’era posto dove nascondersi. Nessun accogliente dogman-shop dove poter chiudere la porta dietro di sé. Un posto come una prigione è in un certo senso quasi ultraterreno. Non fa parte della vita reale.

Dogman, Matteo Garrone (2018). Autore della fotografia Nicolaj Brüel

Dogman, Matteo Garrone (2018). Autore della fotografia Nicolaj Brüel

Cosa puoi dirci della tua collaborazione con Francesco Scazzosi, DIT- Digital Imaging Technician del film e con il colorist Angelo Francavilla?

Francesco è fantastico, ha così tante conoscenze tecniche che sono di grande aiuto in tanti modi e Angelo ha un ottimo occhio e conoscenza dei colori. 

Avete sviluppato delle LUTs (Look Up Tables) durante le riprese o in post-produzione?

No, trovo molto utile lavorare con le LUTs e in realtà dedichiamo sempre quasi un'intera giornata per perfezionarle con diversi scenari di luce. Credo che ne abbiamo fatte 2 o 3 diverse per gli interni e lo stesso per gli esterni. Mi piace renderle il più vicino possibile alla visione finale, ovviamente è utile a tutti sul set. Regista, scenografo, costumista e trucco. Inoltre, è necessario molto meno tempo nella correzione finale del colore, ovviamente ci sei quasi già. Se ricordo bene, penso che per il grading fossero programmati dieci giorni, ma abbiamo finito dopo soli cinque, quindi il tempo speso per la preparazione torna utile alla fine. Ma anche Angelo è bravissimo e ovviamente super veloce.

Hai girato con una Arri Alexa Mini (ARRIRAW): hai fatto dei provini prima di sceglierla oppure si trattava di una macchina con cui ti eri già misurato?

Ho testato molte camere e obiettivi, ma è impossibile tenerti aggiornato al 100% su tutte le nuove attrezzature e aggiornamenti della macchina da presa, quindi ho scelto Alexa che conosco bene e penso che stia facendo un buon lavoro nella produzione di immagini digitali che non lo sembrano eccessivamente.

Sono stati usati obiettivi particolari, come i Cooke Anamorphic SF (Special Flare), esatto?

Sì, è corretto. Quello che mi piace degli SF non è tanto l’atmosfera che puoi avere, ma quanto la morbidezza che producono. Penso che rendano molto bene sulla pelle, il che per me è molto importante. Ho anche scoperto che la morbidezza di queste lenti generava un interessante contrasto con la location piuttosto cruda. Bello mescolare il ruvido con un po' di romanticismo... 

Cosa puoi dirmi della collaborazione con lo scenografo Dimitri Capuani?

Molto molto buona. È stato un grande piacere lavorare con lui sia a Dogman che su Pinocchio. In effetti ho incontrato tanti meravigliosi e abili componenti di troupe in Italia. Da Eleonora, la mia focus puller e la sua assistente Carolina, ad Alex Bramucci che è stato il Gaffer in tutti i miei film italiani. Ho avuto ottimi operatori di steadycam in Alex Brambilla e Daniele Massaccesi. Il costumista Massimo Cantini Parrini e la make up artist Dalia Coli. È stato un vero piacere lavorare con tutti loro... come cinematographer dipendi totalmente dalle loro capacità e dal loro talento.

C’è una sequenza che ti ha soddisfatto maggiormente?

Mi è piaciuta molto la scena in cui Marcello torna nell'officina dell’amico violento per fingere di chiedere perdono, per aver distrutto la sua moto, anche se è stato appena picchiato brutalmente da lui. La scena e il modo in cui la macchina da presa si muove è stata improvvisata e tutto è avvenuto in modo molto naturale. Ho pensato che funzionasse bene.

Com'è stata l'esperienza di lavorare per la prima volta in una produzione italiana?

Ah ah ah... ne sono uscito! Come posso descriverlo? Probabilmente le nostre culture sono diverse. I danesi sono molto organizzati. Ci piace controllare tutto. Un po' come i tedeschi forse? La mentalità italiana sembra molto più aperta, ma anche un po' più caotica. Immagino che abbia il suo fascino, quando ci si abitua. Ho anche notato che non tutti gli italiani producono allo stesso modo. In realtà ah ah ah...

Il tuo ultimo lavoro con Garrone è Pinocchio (2019), altra magnifica prova fotografica: per questo film ti sono stati assegnati il Bronze Frog del Camerimage Film Festival e l’Esposimetro d’oro all’ultima Edizione del Premio Gianni Di Venanzo. Anche in questo film hai usato la Arri Alexa Mini (e obiettivi Cooke SF) come nel precedente. Quale è stato il tuo approccio fotografico-visivo con il mondo fiabesco del film?

Il motivo alla base della scelta dei Cooke SF su Pinocchio è stato in un certo senso lo stesso di Dogman. Su Dogman volevamo ammorbidire un po' la ruvidità della location. Descriverlo in modo rispettoso, senza guardare dall'alto in basso l'evidente decadenza, ma trovare in esso un pensiero di bellezza realistica, se quello che dico ha senso... Collodi ha messo in Pinocchio molta oscurità. Persino follia quasi. Era importante che Matteo rimanesse il più vicino possibile al racconto originale, volevamo quindi mantenere l'oscurità ma dovevamo comunque tenere presente che doveva essere visto anche dai bambini. In questo senso le lenti hanno contribuito ad aggiungere un po' di romanticismo all'oscurità grazie alla sensibilità più morbida.

Rispetto a Dogman, Pinocchio è una produzione più ricca e più complessa.

Sì, hai ragione. Pinocchio è stata una produzione molto più complessa di Dogman. Dogman è stato girato in un'area geograficamente molto ristretta, mentre Pinocchio è stato girato praticamente in tutta Italia. L'approccio visivo per qualsiasi film per il quale mi preparo arriva dal momento in cui leggo la sceneggiatura per la prima volta. È qui che inizio a immaginare il film. La sensazione, i colori, ecc. Con Pinocchio è stato esattamente così. Essendo una favola, con un mondo immaginario così ricco, ho cercato di rimanere fedele alle prime immagini che sono venute fuori durante la lettura. Molte delle scelte di colore e contrasto riconducono a quella prima lettura... Ovviamente è un mix di molti fattori che alla fine forma il linguaggio visivo di un film. Sarà sempre un mix di altri input, del regista, dello scenografo o di altri ... Inoltre, non puoi essere troppo ossessionato dal cercare di rimanere fedele alla tua visione originale. A volte devi essere in grado di adottare un nuovo approccio. Ad esempio, inizialmente avevo in mente delle immagini molto belle di come sarebbero state le notti in Pinocchio. La mia idea era quella di una notte giallastra, nebbiosa e misteriosa al chiaro di luna. Ma quando ho realizzato che il costume di Pinocchio sarebbe stato di un colore rosso vivo, quel tipo di idea svanì, ovviamente non potevo immaginare un pinocchio rosso in una luce nebbiosa tutta giallastra. Quindi le notti sono diventate blu ciano, che pensavo funzionasse meglio con il costume rosso di Pinocchio.

Pinocchio, Matteo Garrone (2019). Autore della fotografia Nicolaj Brüel

Pinocchio, Matteo Garrone (2019). Autore della fotografia Nicolaj Brüel

Quali cinematographers passati o presenti ammiri?

Mi piace il lavoro di Dante Spinotti, ma se devo sceglierne uno dirò Vittorio Storaro! Che carriera straordinaria ha avuto.

Come stai vivendo questo particolare momento storico che ha interessato anche l'industria cinematografica?

Soprattutto spero che la pandemia finisca presto, in modo da poter riprendere a girare film, abbracciarci e baciarci di nuovo... E che si possa tornare a vedere i film dove dovrebbero essere guardati, cioè al cinema!

 

Scopri le nostre interviste con gli autori della fotografia.

Scopri i nostri libri e seguici iscrivendoti alla nostra newsletter.