Al fianco di Ligabue. Conversazione con Matteo Cocco sulla fotografia di Volevo nascondermi

Matteo Cocco, classe 1985, è uno dei direttori della fotografia più interessanti della nuova generazione. Cresciuto professionalmente in Germania, dopo aver curato la fotografia di diversi film tedeschi ha girato l’acclamato Per amor vostro di Giuseppe Gaudino, a cui segue Pericle il nero. Entrambi i film sono candidati al Nastro d’Argento per la migliore fotografia e vincono l’Esposimetro d’Oro, il premio per la miglior fotografia intitolato a Gianni di Venanzo. Seguono Il colore nascosto delle cose di Silvio Soldini e Sulla mia pelle, il film sulla morte di Stefano Cucchi distribuito da Netflix. Il suo film più recente è Volevo nascondermi, il film di Giorgio Diritti con cui Elio Germano ha vinto l’Orso d’argento al Festival di Berlino per la sua interpretazione del pittore Antonio Ligabue e che ha fruttato a Cocco un Globo d’Oro.

Giorgio Diritti e Matteo Cocco sul set di Volevo nascondermi. Foto Chico De Luigi

Giorgio Diritti e Matteo Cocco sul set di Volevo nascondermi. Foto Chico De Luigi

Quali sono i film che hanno preceduto Volevo nascondermi?

Il mio percorso si è svolto su un doppio binario ed è stato in Germania che ho iniziato a fare film. L’esordio al lungometraggio come direttore della fotografia è avvenuto a 25 anni, in un modo bellissimo, sia per quello che è stato il film sia per come è stato realizzato: si trattava de La moglie del poliziotto di Philip Gröning, regista conosciuto a livello internazionale per il documentario Il grande silenzio. Ho incontrato Philip nel 2009 quando stava per realizzare La moglie del poliziotto, un'opera molto particolare, senza sceneggiatura, con un cast che mescolava attori professionisti e attori non professionisti e con una troupe minuscola. Le riprese durarono a lungo e ancor di più durò il montaggio, tanto che il film lo girammo nel 2010 ma la prima mondiale fu, in concorso a Venezia, solamente nel 2013, dove Bernardo Bertolucci era presidente della giuria e La moglie del poliziotto vinse il Premio Speciale della Giuria, per poi arrivare nelle sale tedesche solo nel 2014. Quel film mi ha fruttato, negli anni immediatamente successivi, una serie di altri piccoli film tedeschi, prevalentemente opere prime. Quello a cui non avevo pensato era la possibilità di confrontarmi con il cinema italiano, di poter tornare in Italia a fare dei film, cosa che invece è successa con un’altra opera molto particolare, Per amor vostro di Giuseppe Gaudino. Lessi la sceneggiatura che trovai  incredibilmente affascinante e inafferrabile, per cui accettai di legarmi al progetto, prima ancora che entrasse nel cast Valeria Golino. Lo girammo nel 2014, circa un anno dopo il mio primo incontro con Gaudino, ed è stata un’esperienza meravigliosa, che mi ha fatto stringere un bel legame con Valeria, con la quale poi ho collaborato anche per altri film.
Per amor vostro, nella sua difficoltà realizzativa, era un film di grande ambizione visiva che mi ha permesso di sperimentare molto. Quel film lo considero un po’ come la mia seconda opera prima. Per amor vostro è andato in concorso a Venezia, dove Valeria ha vinto la Coppa Volpi, e ha ricevuto una distribuzione in sala più che discreta. Inaspettatamente mi ha aperto le porte del territorio italiano. Dopo Per amor vostro è venuto Pericle il Nero di Stefano Mordini, prodotto dalla Buena Onda di Viola Prestieri, Riccardo Scamarcio e Valeria Golino. L’incontro con Silvio Soldini mi ha portato a girare Il colore nascosto delle cose, di nuovo con Valeria come protagonista. Poi ho girato anche Riccardo va all’inferno diretto da Roberta Torre, un musical basato sul Riccardo III di Shakespeare. È un progetto a cui tengo molto anche se è stato un po’ sfortunato nella distribuzione. A questi lavori in Italia si sono alternati dei film in Germania o film di coproduzione tedesca. Il film che più di tutti ha dato visibilità al mio lavoro, sia per l’argomento in sé che per la distribuzione molto sperimentale, è stato Sulla mia pelle, primo film italiano ad essere acquisito da Netflix – non prodotto da Netflix, come spesso viene riportato in maniera erronea – nonché primo film italiano ad essere diffuso nello stesso giorno in sala e su piattaforma. Questa strategia distributiva portò gli esercenti quasi a una rivolta, ma si è rivelata essere incredibilmente giusta: da una parte, Sulla mia pelle fece ottimi numeri in sala, dall’altra creò una nuova modalità di visione, che non si limitava solamente a Netflix, perché anche le proiezioni clandestine, che generalmente sono un danno per la produzione, hanno creato un caso intorno a un film girato con pochissimi mezzi e in pochissimo tempo. E infine arriviamo a Volevo nascondermi.

Elio Germano in Volevo nascondermi

Elio Germano in Volevo nascondermi

Quando hai conosciuto Giorgio Diritti? Come sei stato coinvolto nel film?

Giorgio Diritti è un autore italiano che avevo sempre ammirato. Trovavo soprattutto Il vento fa il suo giro incredibilmente potente sia per quello che raccontava in sé, sia per la storia produttiva del film, che per me rappresenta uno dei pochi casi di vero cinema indipendente italiano. Quando mi propose di girare Volevo nascondermi per me è stato doppiamente un regalo, per la possibilità di lavorare con Giorgio e per la possibilità di fare film sul passato. Inoltre si trattava della storia di un artista, un pittore e scultore dalla personalità particolarissima: chi fa cinema e crea immagini sa bene che questo ti permette di usare il linguaggio del cinema per narrare non tanto l’arte in sé quanto i meccanismi creativi dell’artista. Ho incontrato Giorgio ancora prima di leggere la sceneggiatura. Penso che volesse capire se io, a prescindere dai miei lavori precedenti, fossi la persona giusta per il film anche dal punto di vista prettamente umano. Sui set di Diritti la componente umana ha un valore altissimo e anche in questo caso, con l’aiuto della produzione, è riuscito a mettere in piedi una troupe molto unita e sincera. Volevo nascondermi poteva essere un film molto faticoso per il poco tempo a disposizione e per le sue complessità tecniche, ma si è rivelato un’esperienza estremamente piacevole.

Come si è svolta la preparazione e quanto è durata? Quanto sono durati i sopralluoghi e che genere di location cercavate?

Dedico molto tempo alla preparazione dei film. Preparare un film non si limita solamente a fare i sopralluoghi e a scambiare qualche idea con il regista: per me è una vera e propria esperienza di immersione dentro quello che rappresenta il racconto, per trovare le giuste metafore visive. Un regista trascorre solitamente diversi anni impadronendosi della storia che racconta e io desidero sempre essere all’altezza di quel racconto. Giorgio ha trascorso anni a raccogliere materiale su Ligabue e il mio desiderio era quello di trasmettere pienamente la sua visione. Cerco di non imporre un mio stile, ma di assecondare il regista nella costruzione del racconto. La preparazione è durata almeno sette o otto settimane, durante le quali abbiamo innanzitutto fatto dei sopralluoghi nelle regioni dove si è svolta la vita di Ligabue. Abbiamo cominciato in Emilia e ci siamo spostati poi in Trentino, dove abbiamo poi girato le scene ambientate in Svizzera. Le zone dove ha vissuto Ligabue hanno subito profonde trasformazioni negli ultimi 50 anni ed è stato molto complesso trovare dei luoghi che potessero essere credibili in termini storici. Insieme alla scenografa Ludovica Ferrario abbiamo trovato il giusto equilibrio. Alcuni elementi di modernità sono stati eliminati anche con l’aiuto degli effetti digitali. È molto importante, anzi necessario, che il regista, il direttore della fotografia e la scenografa condividano una visione dello spazio e dell’ambiente per capire cosa si cerca e come si può raggiungere un determinato risultato. A questo si aggiunge lo straordinario lavoro sui costumi di Ursula Patzak, che hanno sostenuto l’evoluzione dei personaggi nel racconto.
Un altro aspetto estremamente delicato della preparazione – in un certo senso l’ago della bilancia della riuscita del progetto – è stato il lavoro sul trucco, sulla trasformazione di Elio Germano in Ligabue.  Abbiamo fatto dei provini fotografici per comprendere i limiti di questa trasformazione. In realtà Lorenzo Tamburini e i suoi collaboratori hanno fatto un lavoro straordinario, che mi ha dato estrema libertà nell’illuminazione delle varie situazioni. Ci sono volute tre sessioni di provini per arrivare al risultato finale, e anche durante le riprese abbiamo costantemente aggiustato il tiro in funzione dei risultati che giorno per giorno vedevamo.

Matteo Cocco ed Elio Germano sul set di Volevo nascondermi. Foto Chico De Luigi

Matteo Cocco ed Elio Germano sul set di Volevo nascondermi. Foto Chico De Luigi

Il tono visivo che accompagna tutto Volevo nascondermi personalmente mi ha ricordato molto alcuni film di Sokurov, ma sembravano esserci anche dei richiami ad altri pittori del passato, fra cui Botero o lo stesso Van Gogh. Il look generale del film non sembrava tanto voler richiamare la violenza del colore dei quadri di Ligabue, quanto rappresentare il mondo che aveva assistito alla sua nascita come pittore. Con Diritti quali suggestioni visive vi siete scambiate? Come hai studiato autonomamente la figura di Ligabue per fotografare il suo mondo?

Non ho mai avuto l’intenzione di fare un film che assomigliasse visivamente all’opera di Ligabue. Questo è un approccio francamente abbastanza scontato nel cinema che racconta la biografia di un pittore. In realtà mi sono reso conto che questo non era un film prettamente biografico, sia per costruzione narrativa sia per il fatto che Ligabue non gode della stessa fama di altri pittori quali Caravaggio, Van Gogh o Picasso. Era chiaro che si trattasse della storia di un uomo, della sua vita molto travagliata e del suo rapporto con la società. Il film non celebra Ligabue come artista, ne racconta semmai il suo percorso creativo. Sono partito dalla frammentazione cronologica del film, soprattutto nella prima parte, per raccontare le varie sfaccettature e i vari elementi che componevano il mondo interiore di Ligabue. Si viene a formare una sorta di mosaico. Non si vedono i colori e i quadri di Ligabue nei singoli fotogrammi ma se ne percepisce l’essenza. Visivamente parlando, il film racconta la genesi di un artista.

Con quale macchina da presa avete girato?

Abbiamo girato con una sola Alexa Mini nel formato Arriraw. Giorgio ed io però volevamo metterci nella condizione di avere un solo sguardo, molto lucido e non influenzato dall’utilizzo di due o più macchine da presa.

Molte inquadrature hanno un effetto di sfocato ai bordi dell’immagine. Qual era il vostro set di lenti e perché avete scelto quelle piuttosto che altre?

Ho provinato svariate serie di lenti senza trovare qualcosa di realmente soddisfacente. Cercavo delle lenti con un sapore particolare, che appartenesse al passato e al tempo stesso fosse accettabile in un contesto moderno. Il noleggio D-Vision di Roma mi ha fornito una vecchia serie di lenti Leitz della Leica. Me ne sono innamorato subito. Quelle lenti mi hanno un forte carattere e tanti piccoli “difetti” che ci hanno accompagnato durante la lavorazione del film. Anche la sfocatura di cui parli è stata accolta da me e dal regista come un’opportunità narrativa: in questo modo anche i campi lunghi avrebbero potuto raccontare il mondo interiore di Ligabue.

Elio Germano in Volevo nascondermi

Elio Germano in Volevo nascondermi

Quanto sono durate le riprese?

Le riprese sono durate circa otto settimane, di cui 6 in Emilia nell’estate del 2018. Abbiamo poi ripreso a girare nell’inverno dello stesso anno per altre due settimane. Il cambio di stagione ha dato enorme spessore alle scelte visive del film. Abbiamo avuto il lusso di tornare anche due volte negli stessi luoghi per raccontarli in due luci diverse.

Spesso il personaggio è inquadrato da solo in interni piuttosto ampi ma deserti. C’è una certa dialettica fra pieni e vuoti che è complementare all’alternanza, nel montaggio del film, tra inquadrature ravvicinate e inquadrature larghe, senza campi medi. Come siete arrivati a fare questa scelta di regia?

Questo linguaggio è nato molto presto, durante le prime conversazioni con Giorgio. In maniera molto istintiva ci siamo detti: «non raccontiamo vie di mezzo, facciamo come nei western di John Huston o di Sergio Leone dove paradossalmente non esiste il piano medio, ma solo campi lunghi e primi piani». Questo contrasto fra inquadrature larghe e primi piani ci sembrava la scelta più opportuna per raccontare il mondo interiore di Ligabue. In un certo senso è come se il film fosse tutto in soggettiva, noi non abbandoniamo mai Ligabue: da una parte c’era la necessità di essere molto vicini a lui, fisicamente e con l’inquadratura, dall’altra eravamo ben consapevoli del fatto che nel corso del film si avvicendavano una serie di incontri con altre persone, molti dei quali però lo lasciavano più solo di prima. Forse anche per questo è nata in maniera istintiva la necessità di allargare quel tanto che serviva per raccontare l’isolamento di Ligabue.

In Volevo nascondermi spesso si creano giochi molto interessanti con la luce naturale. Una delle inquadrature più belle di tutto il film mostra Ligabue guardare l’alba dalle rive del Po; ma questa dialettica tra luce naturale e un uso plastico della luce sembra attraversare l’intero film. Come hai lavorato affinché non ci fosse un contrasto troppo forte fra le scene girate prevalentemente con una luce naturale e le scene in cui avete modificato il colore con l’ausilio di luci e altri strumenti artificiali?

Volevo nascondermi

Volevo nascondermi

Un aspetto tecnico molto importante nella fotografia del film è che abbiamo utilizzato interamente luci a incandescenza; lampade daylight o LED non sono neanche arrivate sul set. Ho scelto di girare tutto il film solo con luci a incandescenza perché meglio di tutte le altre restituiscono la verità del colore e si mescolano alla perfezione con la luce naturale. In collaborazione con l’aiuto regista Barbara Daniela, abbiamo calibrato l’ordine delle scene giorno per giorno, in modo da poter sfruttare al meglio la luce del sole nei vari momenti della giornata. Altrettanto importante era lasciare molto spazio a Elio Germano, che ha una grande consapevolezza del racconto cinematografico, senza costringerlo a rispettare delle posizioni o il puntamento delle luci.

In tutte le scene di Volevo nascondermi c’è una presenza molto forte del colore, che spesso assume una pastosità molto pittorica. Come avete ottenuto questo effetto? Come avete impostato la LUT di base del film? Come si è svolta poi la color correction?

In termini emotivi, il colore del film era già contenuto nella sceneggiatura e nella biografia di Ligabue. La luce sul set, i costumi e le scenografie hanno gettato le basi per il lavoro di post-produzione.
Con Volevo nascondermi ho proseguito la mia collaborazione con Nazzareno Neri del laboratorio Laserfilm di Roma. Nazzareno è un Colorist di grande talento, che è stato abituato al lavoro sul colore anche dalle sue collaborazioni con Vittorio Storaro. Ho coinvolto Nazzareno molto presto, per cercare le tonalità del film già durante i primi provini fotografici. L’ho poi invitato in più occasioni a venire sul set per affinare il lavoro fatto in precedenza. Durante l’intera lavorazione ho fatto preparare dal DIT dei fotogrammi delle scene girate giorno dopo giorno, per poterle condividere con tutti gli altri collaboratori. Si tratta di un modo molto semplice e al tempo stesso efficace per condividere il percorso creativo.
La color correction di Volevo nascondermi è durata oltre tre settimane ed è stata particolarmente complessa. Il film ha una struttura narrativa molto particolare e il passaggio da una scena all’altra, dal presente al passato e viceversa, richiedeva una grande attenzione. Anche il lavoro sui colori del film èr stato molto delicato, in quanto spesso il colore è metafora del mondo interiore di Ligabue.

Elio Germano e Francesca Manfredini in Volevo nascondermi

Elio Germano e Francesca Manfredini in Volevo nascondermi

Cosa viene dopo Volevo nascondermi? Come scegli i tuoi progetti?

È da quando avevo undici anni che desidero fare il direttore della fotografia e mi ritengo estremamente fortunato nel poterlo fare. Per questo motivo ho grande rispetto dei film che faccio e delle storie che posso raccontare. Scelgo film che mi emozionano e che hanno un forte impatto su di me e sulla mia visione del mondo. Dopo Volevo nascondermi ho collaborato con Michela Cescon nel suo esordio alla regia, un film dai toni noir che è attualmente in fase di montaggio. E attualmente sto preparando un film a cui tengo molto, di cui vi parlerò la prossima volta!

 

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