Kiarostami, un videoartista. Luca Bigazzi racconta Abbas Kiarostami

In omaggio a uno dei giganti del cinema appena scomparso, pubblichiamo il capitolo dedicato a lui del volume intervista La luce necessaria, a cura di Alberto Spadafora (I ed. 2012, II ed. 2014)

Luca Bigazzi e Abbas Kiarostami sul set di "Copia conforme" (2010)

Luca Bigazzi e Abbas Kiarostami sul set di "Copia conforme" (2010)

Nel 2010 sei stato chiamato da Abbas Kiarostami. Un punto di arrivo?

Definitivo. Da quel giorno ho pensato: “Va bene, è fatta, quello che dovevo fare l’ho fatto”. Abbas è stato uno dei registi che più ho amato nella vita. Sono sempre stato al di qua di ogni riflessione critica di fronte a ogni suo film. Ho adorato i film di Abbas fin da giovane: la sua filmografia così spiazzante, fatta di titoli apparentemente così diversi tra loro, dal realismo alla videoarte, dall’intellettualismo all’umanesimo, fino al romanticismo. Lavorare con Kiarostami è stato il punto di arrivo della mia carriera, se non della mia vita. Con lui ho avuto una sensazione che mi era capitata con Gianni Amelio: in entrambe le occasioni mi sono chiesto se me lo meritassi. Essendo un cinefilo, non riesco mai a lasciare da parte l’emozione di lavorare nel mondo che amo, quello del cinema, e quando entro in contatto con persone come Amelio e Kiarostami provo l’imbarazzo di non meritarlo, ma al tempo stesso mi esplode il cuore.

Come sei stato contattato per lavorare a Copia conforme?

Il film doveva essere girato in Italia. Per trovare un direttore della fotografia i produttori francesi si erano rivolti ad Angelo Barbagallo, e lui ha suggerito di chiamare me. Non avevo mai lavorato con Angelo, ma è uno dei pochi produttori italiani che stimo, con Nicola Giuliano e pochi altri. Abbas e io ci siamo incontrati e ci siamo fatti, credo, un’ottima impressione. Per circa un anno la realizzazione è rimasta in stallo, per via di grandi problemi di casting. Inoltre, l’aiuto regista di Abbas avrebbe dovuto essere Jafar Panahi, ma proprio all’inizio delle riprese ci è giunta la notizia agghiacciante della sua carcerazione. Abbas mi portava in giro per sopralluoghi e mi faceva richieste che io non capivo bene, esattamente come succede con Sorrentino. Abbas ha voluto un uso “incoerente” di macchina a mano e macchina fissa, scelte tra loro in opposizione. Non riuscivo a capire la logica di queste richieste, ma davanti al risultato finale ho dovuto ammettere che, anche questa volta, aveva ragione il regista. Mi sono scoperto nel tempo una persona rigida e duttile allo stesso tempo, spesso in conflitto tra questi due poli. [...] Tra un direttore della fotografia che è anche operatore e un regista può esserci dibattito, ma va da sé che la scelta finale spetta sempre al regista. Tuttavia è nel tentativo del regista di convincermi ad avere fiducia che la sua decisione acquista, per me, un senso definitivo e indiscutibile. [...] 
 

Abbas Kiarostami e Luca Bigazzi sul set di "Copia conforme". Sulla destra Angelo Barbagallo esce dall'inquadratura

Abbas Kiarostami e Luca Bigazzi sul set di "Copia conforme". Sulla destra Angelo Barbagallo esce dall'inquadratura

Anche in questo caso hai ignorato qualunque influenza visiva da parte dei precedenti film di Kiarostami?

Sì. Premetto: amando il cinema di Kiarostami, ero ben preparato sui suoi lavori precedenti. Mi documento sempre sulle opere di un regista con cui mi accingo a lavorare. Non potrei mai fare un film con qualcuno di cui non conosco i lavori precedenti. I film realizzati da ogni regista sono il motivo stesso per cui scelgo di collaborare con qualcuno. Non è solo la sceneggiatura a convincermi ad accettare una proposta, ma il nome del regista, il suo percorso. Ovvio che gli esordienti siano sempre una scommessa. Al tempo stesso, però, se reputo necessario conoscere le esperienze artistiche di un regista, considero totalmente irrilevante conoscerle da un punto di vista fotografico. Penso che il regista si aspetti da me qualcosa di diverso o perlomeno di adeguato al film in lavorazione, dunque non mi interessa sapere come sono stati illuminati i film precedenti, preferisco non saperlo e cerco in ogni caso di non farmene influenzare. Cambiando direttore della fotografia i registi decidono di cambiare stile, ragione in più per non essere influenzati a livello visivo dai loro lavori precedenti. Tranne alcune eccezioni, come nel caso di Ciprì e Maresco, perlomeno del primo film che abbiamo fatto insieme, ma loro erano registi e fotografi insieme.

Come andò la lavorazione in Toscana?

Dal punto di vista umano la lavorazione fu eccellente. I luoghi erano meravigliosi, le ore di lavoro giornaliero poche perché Abbas ha le idee molto chiare. Pochissimi ciak, pochissime inquadrature, scene molto studiate e molto precise. Ci sono state alcune riprese con camera a mano abbastanza complesse, di cui una molto lunga: quella con la camera che parte da un parcheggio, attraversa un androne dove c’è un fotografo di matrimoni, sale una scalinata a precedere gli attori, entra in un museo. Nel corso di quella ripresa dovetti fare numerosi cambi di diaframma. Uso spesso il cambio di diaframma all’interno di una medesima ripresa, è qualcosa che nella prassi tradizionale non si dovrebbe fare, ma lo trovo molto utile e molto funzionale. Il cambio può essere addirittura invisibile se fatto lentamente, con attenzione e nel momento opportuno. Tra l’esterno del parcheggio assolato e l’interno dell’androne ci saranno stati 12 diaframmi di differenza. Per compensare lo squilibrio luminoso avrei dovuto mettere molte luci nell’androne, ma così non ci sarebbe stato spazio per gli attori. Come altre volte, ho preferito usare poche luci e cambiare diaframma con accorgimenti di inquadratura e di movimento per non far trasparire il cambio. È uno dei principi di quella che definisco estetica della leggerezza, che viene sempre accolta con favore dai registi con cui lavoro. E fu accolta anche in quel caso da Abbas. Mi spiace solo che abbiamo girato con la RED, perché Abbas voleva filmare e poi montare la sera stessa. Il video era la scelta più snella e veloce. C’erano già stati casi in cui avevo abbandonato la pellicola a favore del digitale, ma non avevo ancora mai utilizzato la RED. È uno strumento infernale (sorride), a mio avviso non rende giustizia ai colori e li priva di qualunque densità, sebbene l’immagine sia molto nitida e senza alcuna grana. Amo l’immagine morbida, non mi piace il fatto che la tecnica stia evolvendo verso la nitidezza clinica e purificatrice, che a mio avviso non costituisce un valore e non è necessaria. Questa mania di vedere nella più alta risoluzione anche i pori sui volti degli attori non la comprendo davvero (sorride)…

Un'immagine da "Copia conforme"

Un'immagine da "Copia conforme"

In quel caso i pori erano quelli di Juliette Binoche. Come è stato lavorare con lei?

È stato fantastico, è un’attrice davvero straordinaria e un’ottima persona. Non penso che lavorare con attori di fama mondiale sia un metro del successo della mia carriera, né motivo di vanto nella mia vita. La mia priorità sono i registi: sono loro i miei riferimenti. Detto questo, è stata una fortuna lavorare con Juliette perché è un’attrice meravigliosa, molto intuitiva, una persona di una intelligenza sconcertante. Anche lei, come Margherita Buy, conosce perfettamente il posizionamento, la qualità delle luci e il rapporto con la macchina da presa. Anche lei, come Margherita, con grande garbo e gentilezza fa capire che determinate luci non le vanno bene: sono richieste che creano imbarazzo perché devo rinunciare alla scelta per me migliore in rapporto all'ambiente e trovare un compromesso. Alla fine dentro di me so che non solo hanno ragione nelle loro richieste, ma che anzi mi offrono opportunità preziose per soluzioni nuove e impreviste.

[...]

Quali impressioni hai avuto nel vedere al lavoro un regista come Abbas Kiarostami?

Devo dire che rispetto alla poesia e alla naturalezza che restituiscono i suoi film, la complessità e l’artificio della lavorazione sono sorprendenti, anzi sconvolgenti. Non c’era un’inquadratura che avesse la stessa continuità scenografica o addirittura geografica; non c’era un’inquadratura che non avesse una finzione clamorosa dietro l’apparente semplicità. Copia conforme ha una continuità di tempo, di spazio e di luogo totalmente costruita. Ad esempio, la stanza dell’albergo dove i due protagonisti parlano alla fine del film è composta da cinque ambienti ricostruiti in cinque posti diversi: il bagno stava da una parte, l’esterno da un’altra, le scale da un’altra ancora… Dal punto di vista scenografico tutto era frammentato e poi ricomposto al montaggio.

Wliliam Shimell e Juliette Binoche in "Copia conforme"

Wliliam Shimell e Juliette Binoche in "Copia conforme"

Perché questa sua scelta, secondo te?

Secondo me perché Abbas persegue una sua idea formale così precisa e così accurata che per varie ragioni evidentemente non è reperibile nella realtà. Non è un regista documentaristico o realista, lui costruisce la sua personalissima realtà. E questo è stupefacente, perché vedendo i suoi film, si ha la sensazione di un’estrema naturalezza. Questo salto mortale tra la restituzione della realtà e l’artificio della messa in scena è stato veramente una delle cose più sorprendenti che abbia mai visto. Per far combaciare due muri diversi in due paesini diversi che confluivano nella continuità della stessa sequenza, Abbas ha scattato delle fotografie del primo muro nel primo paese, le ha fatte stampare in dimensioni 3 X 4 metri e le ha attaccate sulla parete del secondo paese: tra un campo e un contro campo, tra un taglio di inquadratura e un altro, si creava in questo modo una continuità stupefacente. Quando vedevo queste cose rimanevo senza parole. Gli dicevo: “Ma la fotografia non è tridimensionale”. E lui mi rispondeva: “Ma il film non è tridimensionale”. Lo scenografo era anch’esso annichilito, ma aveva ragione Abbas. Quei fondi fotografati e appesi, trasportati da un paese all’altro, sono per me l’emblema di un artificio che alla fine mostra sullo schermo qualcosa di naturale. Scene totalmente frammentate, dove a un campo in una stanza seguiva un controcampo in un’altra stanza, in un altro paese, dove a un bagno inesistente si sopperiva costruendolo in una piazza e dotandolo di quattro pareti di legno... Mi ricordo un attore che a un certo punto apriva una porta, ma quella porta era finta, dava su un muro, e io avevo messo dei led dietro per dare l’impressione che dalla porta provenisse della luce.

Questa ricostruzione anomala non gravava sui costi di produzione?

No. Il film aveva un budget relativamente basso, solo due attori protagonisti, poche comparse, girato in estrema velocità. Avevamo a disposizione sette settimane e lo girammo in cinque, un vero record all’interno della mia carriera. Abbas è un regista estremamente attento al taglio dell’inquadratura nel primo piano, rasenta davvero la maniacalità, può cercare il taglio giusto per ore. Ho fatto molta fatica, all’inizio della nostra collaborazione, a comprendere il metodo di Abbas, ero molto perplesso. Alla fine ne ero totalmente affascinato, e arricchito di conoscenza preziosa, umana e cinematografica. come mai nella vita.

Ti aspettavi di avere di fronte il regista iraniano realista per antonomasia...

Infatti, il caposcuola del realismo contemporaneo, e invece mi sono trovato di fronte una sorta di videoartista.