Carlo Di Palma, lighting Woody Allen. Storia di un sodalizio artistico e di un'amicizia

Nella filmografia di Woody Allen l'attenzione alla direzione della fotografia è da sempre un elemento di distinzione, sia per l’alta professionalità degli artisti scelti, sia per la ricerca visiva che caratterizza ogni pellicola del regista. Si pensi alle collaborazioni con Gordon Willis (ASC) ‒ suo il magistrale bianco e nero di Manhattan, Sven Nykvist (FSF, ASC), storico collaboratore di Ingmar Bergman, Vilmos Zsigmond (HSC, ASC), che ha illuminato il grande cinema americano degli anni ’70 (Un tranquillo week-end di paura, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Il lungo addio, Il cacciatore) o alla recente collaborazione con il tre volte Premio Oscar (Apocalypse Now, Reds, L’ultimo imperatore) Vittorio Storaro (AIC, ASC). A questa lista di mostri sacri della luce, un posto fondamentale occupa Carlo Di Palma (AIC), con cui il regista stabilisce il sodalizio più importante in termini quantitativi. I due collaborano infatti alla realizzazione di ben undici pellicole, oltre a un film per la televisione: Hannah e le sue sorelle (1986), Radio Days (id.,1987), Settembre (1987), Alice (id., 1990), Ombre e nebbia (1991),  Mariti e mogli (1992),  Misterioso omicidio a Manhattan (1993), Pallottole su Broadway (1994), il film-tv Don't Drink the Water (id., 1994), La dea dell'amore (1995), Tutti dicono I Love You (1996), Harry a pezzi (1997). 

Nato a Roma il 17 aprile 1925, Carlo Di Palma inizia giovanissimo la sua carriera: a diciotto anni è assistente operatore per Ossessione (1943) di Luchino Visconti e a vent’anni per il capolavoro di Roberto Rossellini, Roma città aperta (1945). L’esordio come cinematographer avviene nel 1956, con il film Lauta mancia di Fabio De Agostini. A suo agio con il bianco e nero ‒ è tra i maestri indiscussi nell’uso della luce riflessa e diffusa ‒ che esalta in film come Kapò (1960) di Gillo Pontecorvo (partecipò nella seconda unità), La lunga notte del '43 (1960) di Florestano Vancini, Divorzio all’italiana (1961) di Pietro Germi. È però soprattutto con il colore che riesce a esprimere pienamente il suo talento. Al fianco del genio visionario di Michelangelo Antonioni, infatti, raggiunge le sue vette più alte: le collaborazioni a Deserto rosso (1964) e Blow-up (1966) lo consegnano alla storia del cinema, alimentando la sua fama in ambito internazionale. Durante le riprese di Blow-up Di Palma conobbe Stanley Kubrick, allora impegnato nella lavorazione di 2001:Odissea nello spazio (1968), che  rimase talmente impressionato dal suo lavoro da voler utilizzare per il suo set parte della dotazione tecnica usata per il film di Antonioni. Con Deserto rosso, primo film a colori di Antonioni, Di Palma si spinge molto avanti, insieme al regista, nella ricerca cromatica, con invenzioni e soluzioni suggestive, fino a quella di dipingere il colore direttamente sugli oggetti in scena, trasfigurando e plasmando la realtà.

Firma poi, tra i tanti, la fotografia di L’armata Brancaleone (1966) e La ragazza con la pistola (1968), diretti entrambi da Mario Monicelli, La tragedia di un uomo ridicolo (1981) di Bernardo Bertolucci e Identificazione di una donna (1982) di Michelangelo Antonioni. Si cimenta anche nella regia, dirigendo tre commedie durante gli anni ’70, tutte interpretate da Monica Vitti, all’epoca sua compagna (in seguito alla loro separazione si sarebbe unito in matrimonio con la produttrice Adriana Chiesa): Teresa la ladra (1973), Qui comincia l'avventura (1975), Mimì Bluette fiore del mio giardino (1976). Con Monica Vitti diede vita a un sodalizio artistico, diventandone l’operatore di riferimento per diversi anni. Gli anni ’80 si segnalano per gli ottimi lavori oltre confine come Gabriela (1983) di Bruno Barreto e Il ritorno di Black Stallion (1983) di Robert Dalva. Il regista che contrassegna la fase finale della sua carriera è Woody Allen, con il quale stringerà il suo sodalizio più duraturo, frutto di un’intesa assoluta, dentro e fuori del set. Il primo tentativo di collaborazione avvenne sul finire degli anni ’60, quando Allen, che ne aveva ammirato il suo lavoro per Antonioni, cercò di ingaggiarlo per Prendi i soldi  e scappa (1969); Carlo, però, dovette declinare l’offerta, perché già impegnato. Per la cronaca, il film venne firmato da Lester Shorr (ASC). L’incontro artistico tra Di Palma e Allen dovette aspettare due decenni ed avvenne finalmente per Hannah e le sue sorelle (1986). L’impossibilità, per suoi altri impegni, di continuare a lavorare con Gordon Willis, che aveva firmato tra i tanti anche l’ultimo film del regista, La rosa purpurea del Cairo (1985), convinse Allen a ritentare con Di Palma, che questa volta accettò di buon grado. La maturità artistica di Allen, dal punto di visto estetico e della composizione delle immagini, deve molto a Willis. Il regista, che pure aveva sempre amato lo stile di illuminazione tipico del cinema europeo, lo considerava tra i più talentuosi cinematographers americani, ammirandone la grande tecnica. Di lui amò lo stile particolarmente “cupo”, un marchio di fabbrica che si palesava nella continua ricerca dell’oscurità e delle ombre, non per niente Willis all’epoca era chiamato the Prince of darkness, si pensi anche ai risultati conseguiti nella saga de Il padrino di Coppola. Conclusa l’esperienza con Willis, Allen, nelle opere successive,  evolverà verso una predilezione per tonalità decisamente più confortanti e morbide, con il ricorso a colori saturi e caldi, soprattutto gialli e rossi. Il suo gusto figurativo si era orientato definitivamente verso quello europeo, scelta ratificata con la chiamata di Di Palma.  C’è da dire, che i cinematographers europei, e in primis quelli appartenenti alla Scuola italiana, rispetto a quelli americani  ‒ la maggior parte dei quali, sebbene fossero dotati di grande tecnica, erano meri “esecutori” della volontà del regista ‒ sapevano interpretare la storia da rappresentare, evidenziando un approccio al lavoro più “poetico”. Indubbiamente la loro sensibilità e il loro sublime artigianato, nell’accezione più nobile del termine, hanno ammaliato intere generazioni di registi d’oltreoceano. 

Hannah e le sue sorelle dunque fu la loro prima collaborazione. Girato tra il 1984 e il 1985 è tra le migliori opere di Allen, una sorta di romanzo cinematografico corale, con tanto di didascalie a scandirne la narrazione, che vedeva la presenza di un cast di assoluto livello: Michael Caine, Mia Farrow, Dianne Wiest, Carrie Fisher, Maureen O’Sullivan,  Max von Sydow, Barbara Hershey, Julie Kavner e lo stesso Allen. Attorno ad Hannah (Farrow), il vero punto di riferimento, e le sue due sorelle Holly (Wiest) e Lee (Hershey) Allen costruisce con maestria un tessuto di relazioni sentimentali, vita, sensi di colpa, paura della  morte e caducità dell’esistenza. Il film ottenne tre premi Oscar: miglior sceneggiatura originale (ad Allen), miglior attore non protagonista e miglior attrice non protagonista (rispettivamente a Caine e Wiest). Già in questa prima collaborazione la grande abilità di Di Palma nel girare con la camera in movimento risultò decisiva, come d’altronde in altri film successivi. La scelta poi di adottare colori molto caldi fu determinante. Ad Allen piacque che Di Palma, a differenza di Willis che era più attento soprattutto alla composizione generale dell’inquadratura, riuscisse anche a valorizzare sullo schermo la bellezza e i volti delle attrici e soprattutto a spingere sull’introspezione dei personaggi.

Il film successivo, Radio Days, è una sorta di personale amarcord in cui il regista non recita ma “incarna” la voce narrante, un film dai colori vivaci, che restituisce a livello estetico lo splendore e la vivacità dell’epoca raccontata. Il successivo Settembre ‒ una sorta di Kammerspiel ‒ è girato pressoché in un solo ambiente interno ricostruito in studio; notevoli sono le scene con l’illuminazione delle candele, appena rinforzate dalla luce artificiale. Dopo questo film la collaborazione tra Allen e Di Palma si interrompe bruscamente a causa di una grave operazione allo stomaco a cui viene sottoposto Carlo. Nei film successivi viene sostituito dal due volte premio Oscar (per Sussuri e grida e Fanny e Alexander)  Sven Nykvist, storico cinematographer di Ingmar Bergman, regista tra i più amati da Allen. Nykvist diresse la fotografia di Un’altra donna (1988), New York Stories (episodio Edipo relitto, 1989) e Crimini e misfatti (1989). Riguardo Di Palma e Nykvist merita di essere riportato un curioso aneddoto che li accomuna: nel bel mezzo del secondo conflitto mondiale Nykvist è in Italia, dove gira un paio di film in qualità di assistente operatore, tra cui Nebbie sul mare di Marcello Pagliero e Hans Hinrich (cinematografia di Vaclav Vich): proprio a Roma, negli Studi di Cinecittà, Nykvist si imbatte in un giovanissimo assistente operatore, impegnato nella realizzazione di un film di guerra girato in assoluta segretezza, a cui regala gli shorts-ends (code di pellicola avanzate), preziosissime per il fatto che la pellicola cinematografica per ovvie ragioni era di difficile reperimento (e costosa). Quel giovane assistente alle prime armi era Carlo Di Palma. Cinquant’anni dopo a New York lo stesso Di Palma gli ricorderà l’episodio: il film in questione era Roma città aperta

Il ritorno di Di Palma in un film di Allen avviene nel 1990 con Alice,interprete Mia Farrow. Fu lo stesso Di Palma, stando a quanto si tramanda, a individuare il cappello di colore rosso indossato dalla Farrow: accessorio d’abbigliamento che contribuì al successo del personaggio a tal punto da favorire una vera e propria moda. L’anno seguente è la volta di Ombre e nebbia, tratto da una pièce teatrale di inizio degli anni ’70 scritta dallo stesso regista, intitolata Morte (Death), con Allen nelle vesti dell’impiegato Kleinman. Nel film sono presenti espliciti riferimenti e omaggi a Franz Kafka (Il processo) e Bertolt Brecht (L’opera da tre soldi). Per quello che concerne l’aspetto visivo, è fondamentale sottolineare la scelta di girare la pellicola in bianco e nero, che si adattava alle atmosfere della storia. Di Palma così ricrea l’ambientazione notturna e cupa del film (con magistrali controluce), con un occhio rivolto al cinema espressionista tedesco, in particolare a Murnau e a Fritz Lang, regista di M - Il mostro di Düsseldorf (1931) a cui Allen rende un evidente un omaggio soprattutto nella trama: Ombre e nebbia narra infatti di uno strangolatore seriale, che sia aggira tra le strade di una città europea. Il film successivo è Mariti e mogli, interpretato da Allen, Judy Davis, Mia Farrow, Juliette Lewis, Liam Neeson e Sydney Pollack, dove il regista newyorkese  porta sullo schermo uno stile nervoso e frenetico: Di Palma è eccezionale sotto questo punto di vista, quando riprende ad esempio  l’episodio  della separazione tra Jack (Pollack) e Sally (Davis), muovendosi all’interno dell’appartamento con un tocco da un cine-reporter. Per sottolineare ancora di più questa particolare scelta stilistica, la montatrice Susan Morse introdusse ‒ per la prima volta nel cinema di Allen ‒ un espediente tipico dello stile di Jean-Luc Godard, facendo ricorso a stacchi di montaggio per così dire “irrequieti”, con salti spazio-temporali importanti e con una voluta discontinuità: una scelta decisamente coraggiosa, per un autore che ha fatto del piano sequenza uno dei suoi tratti stilistici più ricorrenti. Le riprese del film vennero effettuate da Di Palma con una camera a mano e con uno stile documentaristico, evidenziato addirittura con interviste ai personaggi. Allen diede estrema libertà al movimento degli attori, che potevano passare da spazi in luce a spazi in ombra a loro piacimento. 

Le successive collaborazioni si dipanano sulla medesima intesa: nel giallo Misterioso omicidio a Manhattan, ricco di citazioni cinematografiche, Di Palma esalta le tinte autunnali della metropoli americana, mentre in  Pallottole su Broadway  riproduce fedelmente luci e atmosfere della New York degli anni ’20. Dopo il televisivo Don’t Drink the Water ‒ basato sull’omonima pièce teatrale scritta dallo stesso Allen ‒, è la volta de La dea dell’amore, con una location particolare come quella del Teatro greco di Taormina e il relativo geniale espediente narrativo rappresentato dalla presenza di un coro come nella miglior tradizione della tragedia greca La stima e la fiducia che Allen riserva nel suo prezioso collaboratore è assoluta, a tal punto da delegarlo a ritirare in sua vece il Leone d’oro alla Carriera assegnatogli nel 1995. 

Con il musical Tutti dicono I Love You, quindi, Di Palma cattura luci e colori delle città più amate dal regista: l’immancabile New York, Parigi e Venezia. Merita di essere ricordata la sequenza del ballo lungo la Senna, dove Allen fa volteggiare Goldie Hawn sulle note di I’m Through With Love (Gus Kahn, Matty Malneck, Fud Livingston, 1931). Il loro viaggio elettivo si conclude improvvisamente con Harry a pezzi. In questa  pellicola del 1997 Allen interpreta Harry Block, acclamato scrittore (ovviamente nevrotico e depresso, continuamente in analisi), alle prese, per la prima volta nella sua carriera, con il blocco dello scrittore. Block un giorno riceve l’invito della sua Università, che un tempo lo aveva cacciato, a ritirare un premio per la sua illuminante carriera: evidente il riferimento alla trama de Il posto delle fragole (1957) di Ingmar Bergman. Tra i racconti brevi che compongono la trama del film, ce ne è uno, intitolato L’attore, a dir poco geniale: il protagonista (il compianto, indimenticato Robin Williams) è un attore, che un giorno, improvvisamente, senza alcuna ragione, durante la lavorazione di un film finisce per ritrovarsi “fuori fuoco”: la troupe non riesce a capirne il motivo. In un primo momento viene data la colpa agli obiettivi della macchina da presa, invece, come per magia, l’attore è “realmente” fuori fuoco, a differenza del mondo che lo circonda, perfettamente nitido. Invitato a riposare, l’attore rientra a casa, dove la famiglia ammutolita, non crede ai propri occhi. La mattina seguente la situazione peggiora, Mel (questo il nome dell’attore) è sempre più fuori fuoco e così decide di recarsi da un medico. Alla fine, l’unico rimedio per poterlo vedere a fuoco sarà di indossare un paio di occhiali da vista. Malgrado i figli di Mel non vogliano portarli, vi saranno costretti. Curiosamente, per la prima volta nella storia del cinema, una star dell’epoca, Robin Williams, tra le più famose e pagate, ci viene mostrata (o meglio non mostrata) fuori fuoco praticamente per tutta la durata della sua interpretazione, contravvenendo di fatto agli standard di base (massima visibilità, protagonismo, riconoscibilità) imposti dallo star-system hollywoodiano. Con questa invenzione narrativa, che finisce per diventare metafora dell’alienazione, del sentirsi “fuori posto”, costringendo il mondo ad adeguarsi alla propria “stortura”, Allen ci invita a riflettere sulla condizione umana. La sequenza de L’attore venne realizzata in collaborazione con l’Industrial Light & Magic, leggendaria società di effetti speciali fondata da George Lucas e fotografata ovviamente da Di Palma, che fornisce un’altra grande prova illuminando magistralmente la discesa di Harry, in ascensore, nell’Inferno (plausibile omaggio al film muto Maciste all’inferno, 1926, di Guido Brignone), di chiara ispirazione dantesca (ogni piano infatti corrisponde a un girone): la sequenza venne virata in rosso, con un’illuminazione morbida e pastosa, quasi “palpabile”. 

Il sodalizio artistico tra Allen e Di Palma si interrompe così, come accennato, dopo l’uscita di Harry a pezzi, quando le politiche economiche decise dai produttori Jean Doumanian (Jean Doumanian Productions)  e Richard Brick, falcidiarono di fatto la maggior parte degli storici collaboratori del regista: alcuni rimasero con un salario ridotto, altri, come Di Palma o lo storico produttore Robert Greenhut, furono costretti ad abbandonare quella grande famiglia che negli anni aveva contribuito al successo di Allen. Tra i collaboratori più fedeli di Di Palma, per quello che concerne l’esperienza alleniana, meritano di essere citati l’assistente operatore Michael Green e l’operatore alla macchina Dick Mingalone. L’ultima collaborazione con l’amico-regista rappresenta di fatto anche il suo ultimo film in assoluto. Un grazie sodalizio grazie al quale Di Palma ottenne due dei quattro Nastri d’argento conseguiti nella sua carriera: per Ombre e nebbia e La dea dell’amore. Per completezza di informazioni bisogna aggiungere che nel 2002 si presentò una nuova possibilità di collaborazione per il film Anything Else (2003), ma i gravi problemi di salute di Di Palma la resero impraticabile. La compagnia assicurativa non diede il benestare, e Di Palma dovette rinunciare: venne sostituito dal collega iraniano, naturalizzato francese, Darius Khondji. Di Palma ci avrebbe lasciato di lì a poco, il 9 luglio del 2004, a Roma. 

Per chi volesse approfondire la figura di uno dei più grandi cinematographer della storia del cinema, può farlo con la visione del documentario Acqua e zucchero - Carlo di Palma, i colori della vita (2016) di Fariborz Kamkari, prodotto da Adriana Chiesa e premiato con il Nastro d’argento per il Miglior documentario, sezione cinema e spettacolo: tra i contributi, naturalmente quello di Woody Allen.