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Quando a franare è il diritto. Conversazione con Alessandro Negrini su cinema, sogno, resistenza

 Alessandro, è passato un anno e siamo di nuovo al 9 ottobre, la data della tragedia del Vajont, alla quale è dedicato il tuo bellissimo La luna sott'acqua. Un anno durante il quale il film ha viaggiato molto. La dinamica di quella tragedia è esattamente la stessa, su scala diversa, di quello che sta succedendo adesso in Palestina: gli interessi economici arrivano al totale disprezzo della vita umana, fino a eccidi di incredibile ampiezza. Nella tragedia del Vajont mi pare siano morte circa 2000 persone. Vorrei mantenere questa nostra conversazione anche a cavallo dell’attualità di questi giorni, così forte, e che ti coinvolge direttamente come attivista...

Questa settimana torneremo in Friuli, nelle zone del disastro, con numerose proiezioni. In questo viaggio di un anno in effetti mi è sempre sembrato che il film dialogasse con la contemporaneità. C’è in effetti un parallelo evidente tra il Vajont e ciò che è successo in Palestina e alla Sumud Flottiglia; in entrambi i casi si è verificata una rottura del patto sociale tra i cittadini e lo Stato. La maschera è caduta: si è verificato qualcosa che ha denudato il potere, dicendo ai cittadini che non sono più protetti dalle Istituzioni, che nessuno di noi è più protetto nel momento in cui la priorità ce l’hanno il potere e l’economia. Ciò che è accaduto ai volontari della Flottiglia, che non solo non sono stati difesi, ma al contrario hanno subito un tentativo di delegittimazione e sono stati attaccati, insultati, incarcerati senza alcuna difesa da parte dello Stato di appartenenza. Le autorità italiane hanno addirittura ringraziato quelle israeliane per non averli uccisi. Lo stesso meccanismo si è verificato nella tragedia del Vajont, definito dall’ONU “il più grande disastro provocato dall’uomo in tempo di pace”. Anche allora i lo Stato non difese la cittadinanza. Difese il profitto. Ci furono 2000 vittime, che non solo non furono protette dal pericolo, ma non furono nemmeno avvisate. Tutto venne occultato.

Alessandro Negrini con il direttore della fotografia Oddgeir Saether, la scenografa Barbara Kapely e le comparse che nel film interpretano i galeotti

Un altro parallelismo riguarda il silenzio degli intellettuali e della stampa, con pochissime eccezioni, anzi una sola: la giornalista de «l’Unità» Tina Merlin, che venne accusata e processata per “procurato allarme”, nonostante stesse semplicemente tentando di affermare che si era in presenza di un grandissimo pericolo. Che differenza c’è tra il trattamento riservato allora a Tina Merlin e quello riservato a coloro che oggi denunciano il genocidio a Gaza, accusati di ogni cosa, anche di essere “filo Hamas”? La stessa delegittimazione, la stessa messa in stato di accusa di chi denuncia l’ingiustizia anziché di chi la perpetra.

Alessandro Negini con Guido Sain, uno degli ertani protagonisti de La luna sott’acqua

Dicevamo che il film ha avuto un percorso lungo, percorso che è ancora vivo, con passaggi in molti festival, italiani e stranieri, molti premi e riconoscimenti. Questo testimonia non solo la sua forza morale, ma anche una scelta estetica vincente, capace di comunicare in modo poetico i temi di cui tratta. Puoi parlarci di come hai affrontato il dato storico con il tuo film?

Quando decisi di realizzare La luna sott’acqua avevo una sola certezza: non volevo fare un reportage o un film storico sul Vajont. Volevo che emergesse la contemporaneità di quella storia, la vicenda di un paese a cui è stata rubata la luna. Non è una metafora astratta: tra le tante conseguenze del disastro a Erto e Longarone, ce n’è una singolare. Quando fu costruita la diga – che per ragioni geofisiche non avrebbe dovuto sorgere lì– si formò una nebbia quasi permanente, al mattino e alla sera, che da quel momento impedì agli abitanti di vedere la luna nel suo splendore, soprattutto nelle notti di luna piena. Durante la mia lunga permanenza a Erto, un giorno vidi un uomo davanti all’osteria guardare il cielo e mormorare: “Ci hanno rubato anche la luna.” In quel momento capii che quella era la metafora del film, ma anche di un intero paradigma storico: il tentativo continuo di rubare la luna alle persone, di toglier loro la possibilità di guardare in alto e sognare. Ho deciso quindi di raccontare una storia in cui le persone riescono a riprendersi quella luna, anche se immerse nel fango o tra le case che cadono a pezzi. Ho un affetto profondo per gli Ertani, perché mi hanno insegnato che è possibile riprendersi la luna anche quando tutto sembra perduto. Mi ha emozionato molto quando, dopo aver visto il film, mi hanno detto di averlo amato perché dentro non c'era solo la morte.

Alessandro Negrini alla macchina da presa, accanto al direttore della fotografia Oddgeir Saether e Cristiano Cappa, il suonatore di fisarmonica del film

Un set de La luna sott’acqua con Italo Filippin, uno degli ertani protagonisti

Il tuo film non racconta solo la tragedia in cui gli ertani persero a decine i loro familiari, ma anche un’altra storia, per nulla conosciuta, di prevaricazione…

Sì, la seconda storia, il post-Vajont. Erto, il paese più vicino alla diga, sopravvisse in modo paradossale. La sua vicinanza alla diga lo salvò, perché l’onda provocata dal crollo della montagna passò quasi sopra le case. Ci furono pochi morti rispetto a Longarone, ma il paese venne comunque condannato a sparire dalle mappe. Dopo il disastro, infatti, le autorità locali e nazionali decisero –in parte lo avevano già pianificato – di continuare a sfruttare il bacino d’acqua, nonostante le vittime ancora sepolte sotto il fango. L’unico ostacolo al profitto era Erto. Così fu dichiarato inabitabile: circa 2.000 persone vennero evacuate con la forza, con i camion militari, l’acqua e la corrente furono tagliate. Ma un centinaio di abitanti decisero di tornare aggirando i blocchi stradali attraverso sentieri. Occuparono il proprio paese, diventando gli squatters di casa loro. Se compravi una mappa dell’Italia stampata dopo il 9 ottobre 1963, Erto non esisteva più, eppure c’era, grazie a quell’ottantina di persone che volevano riprendersi la luna. E hanno vinto loro, perché oggi Erto esiste ancora, è tornato sulla mappa, contro tutto e tutti.

Luciano Pezzin, ertano ed ex sindaco, protagonista del film

Negrini sul set in una casa abbandonata di Erto, in fondo Cristiano Cappa

Vuoi dire qualcosa anche sull’estetica del film? Come hai tradotto visivamente tutto questo?

Come dicevo, la mia intenzione era realizzare un film che avesse una forza capace di travalicare i confini del racconto e parlare anche alla contemporaneità, non solo nei contenuti ma anche nell’estetica. Passando molto tempo a Erto, ho avuto la conferma di una sensazione che avevo fin dall’inizio, quella di un paese sospeso, in bilico su tutto – fisicamente, sulla montagna; ma anche in bilico tra la memoria e un futuro possibile, tra la realtà e il sogno. Volevo che il film desse la stessa sensazione. Durante le mie ricerche scoprii che tra i primi abitanti di Erto c’era una comunità di galeotti mandati in esilio dalla Serenissima (in realtà erano persone “scomode” per i commerci veneziani). Questa scoperta mi colpì: persone abbandonate dalla vita, mandate in un luogo abbandonato dalla storia e dalla politica, viste come un pericolo. Era incredibilmente attuale: lo straniero che arriva, percepito come minaccia. E che poi invece diventa promessa, perché trova l’acqua, scava pozzi, ricostruisce. Ho pensato che nei sogni degli ertani continuassero a vivere questi personaggi. L’elemento onirico – che è un po’ la mia cifra stilistica e che qui ho creato con il bravissimo sceneggiatore Fabrizio Bozzetti – si è rafforzato in questo film che oscilla continuamente tra questi due livelli, mostrando come la luna rubata resti un sogno che non muore, che continua a essere sognato, non solo dagli Ertani.

Alessandro Negrini a Erto con l’attore Janez Skof

Parliamo dell’accoglienza al film. Che tipo di vita ha avuto dopo l’uscita?

È stato un percorso bellissimo, che ogni volta mi emoziona. Il film sta girando in tutta Italia e all’estero. In Sardegna ho scoperto che la parola erto in sardo significa “ferito”: una coincidenza meravigliosa. Ovunque vada mi accorgo che il film risuona nel pubblico in modi diversi ma con una costante, perché ovunque esistono frane – fisiche o metaforiche, collettive o personali. Chi di noi non è “franato” almeno una volta nella vita? Chi non si è ritrovato nel buio, quando tutto sembrava crollare? Vedo ovunque una risposta intensa, piena di emozione, anche se scopro che il Vajont è poco o mal conosciuto. È un film che vive, come direbbe Silvano Agosti, “semiclandestino”, ma che non si ferma, un po’ contrabbandiere.

Spieghiamo meglio: il film non è stato distribuito nelle sale, giusto?

Sì, non ha un vero distributore. C’è una casa di produzione, Incipit Film, che ne cura la diffusione, ma senza la forza di una distribuzione commerciale. Eppure il film sta girando come se ce l’avesse. Il vero distributore de La luna sott’acqua sono le persone: i circoli, le associazioni. Mi hanno contattato per proiettarlo i No TAV della Val di Susa, sarò lì, a d Almese (TO), il 23 ottobre. È un piccolo miracolo di cui sono molto orgoglioso. Mi commuove vedere che, mentre tanti film, anche bellissimi, si spengono dopo due settimane di programmazione, questo continua a respirare, come se qualcosa gli soffiasse dietro. L’ANPI, oltre a sostenermi, mi ha invitato spesso a proiettarlo, così come le scuole, che continuano a organizzare incontri e visioni.

E hai ricevuto anche numerosi premi, in Italia e all’estero.

Sì. Il primo premio l’ho ricevuto in Inghilterra, al Crossing the Screen - Eastbourne International Film Festival, dove mi chiedevo cosa potessero capire del Vajont, invece è stato un riconoscimento che mi ha toccato profondamente. Ora siamo a dieci premi internazionali. Abbiamo vinto l’Ischia Film Festival, il Festival di Cefalù, siamo stati al Docs Ireland – l’unico festival interamente dedicato al documentario in Irlanda – e di recente in Portogallo, in Brasile, al Portobello International Film Festival di Londra, che quest’anno festeggiava il trentesimo anniversario. Vedere la reazione del pubblico londinese è stato emozionante: uno dei momenti più intensi è stato quando, durante la proiezione, gli spettatori hanno applaudito nel mezzo del film, al passaggio in cui il sindaco Luciano, rattristato ma mai davvero sconfitto, dice che nessuno si sarebbe aspettato che, al cinquantesimo anniversario del Vajont (il mio film va dal cinquantennale al sessantennale), il Presidente della Repubblica – all’epoca Giorgio Napolitano – non si presentasse, e mandasse al suo posto il Presidente del Senato, allora Pietro Grasso. Luciano commenta: “Lui ha mandato il vicepresidente, e allora io mando il vice sindaco”. Quando gli inglesi hanno sentito quella frase, hanno applaudito: è stato un momento che mi ha commosso. Perché quello di Luciano era percepito come un gesto di rivolta civile universale. Ogni volta che succedono cose del genere, chiamo gli Ertani e li rendo partecipi, come era già accaduto a Napoli, alla première al Napoli Film Festival. Anche lì ci fu un applauso nello stesso punto, un applauso di riscatto. Uno dei premi a cui tengo di più è il premio come miglior film al Sibillini Film Festival, nelle Marche, dove La luna ha vinto sia come miglior documentario sia come miglior film di finzione, superando entrambe le categorie. Proprio secondo i miei desideri, tanto che la definizione che mi piace dare del film è “docu-sogno”, perché è un documentario (se lo è), ma è un documentario che, oltre al reale, documenta l'intangibile, l'inconscio collettivo.

Premiazione al Sibillini Film Festival, Miglior Film

Non solo nella tua opera incontri grandi fatti storici, politici, sociali - ne La luna sott’acqua come nei due tuoi film precedenti dedicati al conflitto tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda - ma sei un attivista in prima persona e porti avanti anche altri tipi di attività per approcciare tematiche sociali e politiche. Ricordo per esempio un tuo laboratorio sul tema del confine svoltosi a Cipro, e la tua direzione artistica della Festa del Cinema dei Diritti Umani di Cosenza. Puoi dire qualcosa su queste attività?

Fui invitato a Cipro da una Associazione di architetti, Urban Gorillas, in quella terra sospesa e ferita, dove un muro taglia ancora in due la città di Nicosia. Lì nacque Disorientando i confini, un laboratorio in cui chiedemmo ai partecipanti di andare tra i quartieri greci e turchi, di fermare le persone e domandare loro di ricordare una musica, una canzone legata a un sogno dimenticato. Poi, in quel preciso istante, quella musica veniva ritrovata e fatta risuonare nelle orecchie di chi l’aveva evocata, mentre una telecamera ne raccoglieva soltanto gli occhi - occhi che ascoltavano la memoria. Tutte quelle melodie, intrecciate, divennero la colonna sonora dei sogni dimenticati, e furono suonate proprio là, dove il filo spinato divide Nicosia greca da Nicosia turca. Da quel confine, i partecipanti lanciarono gomitoli di lana, e i fili furono raccolti dall’altra parte: i corpi iniziarono a danzare, intrecciando nemici in un unico ritmo. La sera, proiettammo Tides da due tetti, uno per ogni lato del muro, e subito dopo, gli sguardi di chi aveva ascoltato quella colonna sonira. I militari arrivarono per fermarci, ma era già troppo tardi: avevamo già, davvero, disorientato i confini.

E che cosa hai fatto in particolare in questi anni per la causa palestinese, che oggi per fortuna ha portato a impegnarsi milioni di cittadini in tutto il mondo?

Tutto ciò che faccio è intrecciato al mio cinema (o viceversa), e nasce da una convinzione personale: non ci si può dichiarare artisti se si è privi di empatia verso gli ultimi. Che senso ha citare o mettere in scena Shakespeare, Neruda, o De André se poi chiudiamo gli occhi di fronte a un genocidio trasmesso in diretta? Mi sconvolge vedere artisti che non sentono il bisogno di empatizzare pubblicamente con chi, nella realtà, incarna ciò che raccontano sul palco o sugli schermi. In Re Lear, Shakespeare scrive: “Sono tempi bui quelli in cui i folli guidano i ciechi”. Come si può portare in scena una frase così potente e, allo stesso tempo, comportarsi come quei ciechi che si lasciano guidare dai folli? Come si può raccontare la bellezza ignorando l’abominio? C’è un’immagine che mi ossessiona: quella dei musicisti del Titanic che, per ordine degli armatori, continuano a suonare mentre la nave affonda. Oggi siamo tutti sul Titanic, e troppi continuano a suonare come se nulla stesse accadendo, fingendo che l’umanità non stia affondando. L’arte che non sfida più la realtà, che non cerca di salvarsi dalla tragedia ma la accompagna con una colonna sonora dolce e inoffensiva, è un atto di resa estetica e morale. Per questo un anno e mezzo fa ho scritto una Lettera agli artisti e agli intellettuali, nella quale chiedevo a cosa servisse l’arte e a chi è indirizzata se resta muta, cieca e sorda davanti a ciò che ci accade intorno. Mi rispose per primo lo storico Angelo D’Orsi, con grande entusiasmo. Da quel dialogo nacque un’amicizia e decidemmo di fare qualcosa di concreto, non solo un appello ma un evento: GazArt, che si tenne al Teatro Villa Lazzaroni di Roma. GazArt vide partecipare  artisti, musicisti, attori, cittadini comuni, tutti uniti dal desiderio di dire “non in mio nome”. Ognuno portò un testo o un intervento legato alla Palestina. Parteciparono Laura Morante, Massimo Wertmuller, David Riondino, Ascanio Celestini, Daniela Poggi, il musicista Lucio Matricardi, Vauro, Carla Carfagna, Arianna Porcelli Safonov, Claudio Silighini, Laura Frascarelli, Moni Ovadia, giornalisti come Raffaele Crocco e molti altri. Ci fu una risposta da parte di molti artisti e intellettuali, ma accolta dal silenzio quasi totale, non facemmo “notizia”. Avevamo un ufficio stampa, eppure la stampa ci ignorò: solo «Il Fatto Quotidiano» pubblicò un articolo, e «il manifesto» dedicò una vignetta di Maicol & Mirco. Oggi, per fortuna, molti artisti sembrano essersi risvegliati – forse tardi, ma meglio tardi che mai, perché ogni voce serve. Quando lo facemmo noi, fummo ignorati o accusati di antisemitismo, di essere filo-Hamas. Ma rifarei tutto, perché credo che il silenzio sia la forma più grave di complicità.

Gaza - Foto Eloisa D’Orsi

Laura Morante a GazArt

Davvero vi hanno tacciato di antisemitismo? Che in effetti è stato il refrain mediatico del tentativo di difendere Israele.

Sì, ho perso spettacoli e occasioni di lavoro: alcune date mi sono state cancellate, e ufficiosamente mi è stato riferito che la motivazione era proprio quella – che avevo “fatto un casino”, che ero portatore di elementi divisivi e antisemiti. Non voglio fare la vittima, perché non mi piace, ma è un fatto che chi è salito su quel palco ha pagato per un anno e mezzo, chi più chi meno. Tuttavia, non si può agire diversamente. Se non si prende posizione, le parole che diciamo, i film che realizziamo, le canzoni che cantiamo non valgono nulla: restano vuote, di più: ipocrite. Venendo a questi giorni, a questa risposta sorprendente e potente degli italiani – una mobilitazione come non si vedeva da tempo – è stato emozionante vedere una cittadinanza che ha finalmente capito che chi dovrebbe rappresentarla non la rappresenta davvero. Se lo Stato rappresentasse la cittadinanza avrebbe difeso i partecipanti alla Sumud Flotilla, invece si è permesso ad uno Stato occupante di commettere atti di pirateria verso propri connazionali

L’associazione “Siamo ai titoli di coda”, che raccoglie li professionisti del cinema e dell’audiovisivo italiani, si sta muovendo molto in questa direzione, e credo sia un segnale molto importante.

Sì. È altrettanto fondamentale che gli insegnanti, i docenti – che possono essere i veri custodi della memoria collettiva - aiutino a far capire che tutto questo è già accaduto. Ciò che studiamo nei libri non è un archivio polveroso, ma una finestra sul presente: La mostruosità non è un incidente del passato. La mostruosità si è sempre ripetuta e si sta ripetendo. Ai tempi del Vajont c’era un’unica intellettuale, Tina Merlin. Raccontare il Vajont oggi serve proprio a questo: a capire cosa possiamo fare nella realtà presente. Perché quel racconto non parla solo del passato, ma di ciò che ancora è.  E quel racconto risuona negli occhi di chi lo guarda e resiste, di chi ancora dice “No”, nella sua vita e nel suo presente, tocca le esperienze individuali di sconfitta e di resistenza, e addita un potere che continua a tracimare oltre il diritto e la giustizia. Come l’acqua di quella diga.

Grazie Alessandro.

Prossimamente anche a Almese (Val Susa, TO), Grosseto, San Remo, Cattolica, Pesaro, Massa Carrara, Milano

"La luna sott'acqua" è una co-produzione Italia - Slovenia Prodotto da Incipit Film e Casablanca Film, sostenuto da Friuli Venezia Giulia Film Commission, Film Commission Torino Piemonte, RTV Slovenija, Media Development Fund, Mic Ministero della Cultura Italiana

Regia: Alessandro Negrini.
Produzione: Incipit Film, Casablanca Film.
Sceneggiatura: Alessandro Negrini e Fabrizio Bozzetti. Direttore della fotografia: Oddgeir Saether
Musiche originali: Andrea Gattico
Scenografia: Barbara Kapely.
Montaggio: Beppe Leonetti Suono Havir Gergolet
Montaggio sonoro: Francesco Morosini

Tra lusso e volgarità, Roma è ancora barocca. Conversazione con Andrea Cavalletto su Enea di Pietro Castellitto

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In occasione dei Nastri d’Argento 2024, dove era candidato in sette categorie, tra le quali miglior regia, torniamo su un film , Enea di Pietro Castellitto, che ci aveva interessato molto per il suo ritratto originale, e dall’interno, della borghesia romana. Ne abbiamo parlato con il costumista Andrea Cavalletto.

Basic Film Making. Conversazione con Peter Zeitlinger sul cinema di Werner Herzog

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Peter Zeitlinger (BVK ASC) è nato a Praga il 6 giugno 1960. Dopo l'occupazione sovietica del 1968 e la conseguente instabilità politica, è costretto a lasciare il proprio paese insieme alla madre che sceglie di raggiungere la vicina Austria. A Vienna frequenta la Filmakademie: dopo aver collaborato a diversi progetti con Götz Spielmann e Ulrich Seidl, oggi tra i più importanti rappresentanti del cinema austriaco, a metà degli anni ’90, Zeitlinger inizia il suo sodalizio con Werner Herzog, al cui fianco si spingerà ripetutamente oltre i consueti canoni della rappresentazione cinematografica.  Tra i titoli più importanti: Grizzly Man (2005), Rescue Dawn (2006), Encounters at the End of the World (2007), Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans (2009), My Son, My Son, What Have Ye Done (2009), Cave of Forgotten Dreams (2010), Queen of the Desert (2015). Collabora anche con Abel Ferrara e con star hollywoodiane come Nicolas Cage, Nicole Kidman e James Franco. Zeitlenger si occupa fin dagli esordi anche di regia, e negli ultimi anni ha rafforzato la sua collaborazione con la compagna Silvia Zeitlinger Vas. Ha insegnato all’Università Mozarteum di Salisburgo e alla Facoltà di televisione e cinema HFF di Monaco.

Ricordando Giuseppe Rotunno nel centenario della nascita

Ricordando Giuseppe Rotunno nel centenario della nascita

È molto difficile spiegare il mio lavoro, ma è come essere un pittore.
Penso che i pittori sentano qualcosa dentro attraverso i colori
e il pennello mentre mettono le loro idee su una tela.
Questo è quello che faccio anch’io.

Giuseppe Rotunno

In ricordo di Franco Zeffirelli, mio grande maestro e amico

In ricordo di Franco Zeffirelli, mio grande maestro e amico

Oggi, 12 febbraio, ricorre il centenario di Franco Zeffirelli. Il comune di Firenze e la Fondazione Zeffirelli celebrano il maestro italiano con numerosi eventi,  tra i quali l’intitolazione del Belvedere e un passaggio della Pattuglia Acrobatica Nazionale sulla città, omaggio dell’Aeronautica Militare. Ci uniamo alla celebrazione anticipando qui il capitolo del libro biografico in preparazione di Daniele Nannuzzi, direttore della fotografia che ha spesso affiancato Zeffirelli in una lunga e complice collaborazione. Daniele Nannuzzi ha anche partecipato attivamente sia alla creazione della Fondazione Zeffirelli sia ai contributi che oggi saranno presentati per il centenario. 

Shoot from the Heart: ricordando Haskell Wexler. Conversazione con Joan Churchill

Shoot from the Heart: ricordando Haskell Wexler. Conversazione con Joan Churchill

Joan Churchill è una filmmaker e cinematographer che ha iniziato la sua carriera con una serie di film musicali, tra cui Gimme Shelter, No Nukes e Jimi Plays Berkeley. La sua filmografia include An American Family, Punishment Park e Pumping Iron, nel quale ultimo presenta al mondo uno sconosciuto Arnold Schwarzenegger. In collaborazione con Nick Broomfield, Churchill ha realizzato dieci film, tra cui Soldier Girls, con il quale ha vinto un Bafta Award per la categoria miglior documentari. Churchill è stata la prima cinematographer di documentari ad essere ammessa nell'American Society of Cinematographers (ASC). Infine, ha prodotto, diretto e fotografato il documentario Shoot from the Heart dedicato al leggendario Haskell Wexler ASC, del quale quest’anno si è celebrato il centenario della nascita (Chicago, 6 febbraio 1922 – Santa Monica, 27 dicembre 2015), tra i più grandi cinematographers della storia del cinema. Nel corso della sua carriera Wexler si aggiudica due Academy Awards® – Premi Oscar® con Chi ha paura di Virginia Woolf? (1967), regia di Mike Nichols, e Questa terra è la mia terra (1976), regia di Hal Ashby. Firma la cinematografia di film-cult come: La calda notte dell'ispettore Tibbs (1967) e Il caso Thomas Crown (1968), diretti entrambi da Norman Jewison, Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), regia di Miloš Forman, Tornando a casa (1978), regia di Hal Ashby, I giorni del cielo (1978), regia di Terrence Malick, Matewan (1987), regia di John Sayles, Scandalo Blaze (1989), regia di Ron Shelton. Wexler è entrato a far parte dell’ASC il 12 settembre del 1966, ha diretto diversi documentari e il notevole lungometraggio America, America, dove vai? (Medium Cool, 1969). Il talento di Wexler è stato omaggiato con una stella nella “Hollywood Walk of Fame”.

Shoot from the Heart: Remebering Haskell Wexler. Conversation with Joan Churchill

Shoot from the Heart: Remebering Haskell Wexler. Conversation with Joan Churchill

Filmmaker and cinematographer Joan Churchill began her career shooting a series of music films, including Gimme Shelter, No Nukes, and Jimi Plays Berkeley. Her credits include An American Family, Punishment Park and Pumping Iron, introducing to the world an unknown Arnold Schwarzenegger. In collaboration with Nick Broomfield, Churchill has made ten films, including Soldier Girls, for which he won a Bafta Award. Churchill is the first pure verite documentary cinematographer to be accepted into the American Society of Cinematographers (ASC). She then produced, directed and photographed the documentary Shoot from the Heart dedicated to the legendary Haskell Wexler. The centenary of the birth of Haskell Wexler ASC (Chicago, February 6, 1922 - Santa Monica, December 27, 2015), one of the greatest cinematographers in the history of cinema, was celebrated this year. During his career he won two Academy Awards® - Academy Awards® with Who's Afraid of Virginia Woolf? (1967), directed by Mike Nichols, and Bound for Glory (1976), directed by Hal Ashby. He also signed the cinematography of cult films such as: In the Heat of the Night (1967) and The Thomas Crown Affair (1968), both directed by Norman Jewison, One Flew Over the Cuckoo's Nest (1975), directed by Miloš Forman, Coming Home (1978), directed by Hal Ashby, Days of Heaven (1978), directed by Terrence Malick, Matewan (1987), directed by John Sayles, Blaze (1989), directed by Ron Shelton. Wexler joined the ASC on 12 September 1966, directed several documentaries and the remarkable feature film Medium Cool (1969). Wexler's talent was honored with a star on the “Hollywood Walk of Fame”.

Ricordando Sven Nykvist. Conversazione con il figlio Carl-Gustaf Nykvist

Ricordando Sven Nykvist. Conversazione con il figlio Carl-Gustaf Nykvist

Oggi ricorrre il centenario della nascita di Sven Nykvist ASC FCF (Moheda, 3 dicembre 1922 - Stoccolma, 20 settembre 2006), tra i più importanti e talentuosi cinematographers della storia del cinema: il suo iconico lavoro ha segnato la cinematografia del secolo scorso. Leggendario il suo sodalizio con Ingmar Bergman. Nykvist ha lavorato inoltre con Woody Allen, Roman Polański, Louis Malle, Andrej Tarkovskij, Bob Rafelson. Maestro della luce e delle ombre, perfettamente a suo agio sia con il bianco e nero sia con il colore, nel corso della sua carriera vinse due premi Oscar, per Sussurri e grida (1972) e Fanny and Alexander (1982). Da ricordare poi opere come La fontana della vergine (1960), Come in uno specchio (1961), Luci d'inverno (1963), Il silenzio (1963), Persona (1966), Scene da un matrimonio (1974), L'inquilino del terzo piano (1974), Il postino suona sempre due volte (1981), L'insostenibile leggerezza dell'essere (1988), Crimini e misfatti (1989).
Carl-Gustaf è suo figlio: dapprima cinematographer, ha diretto diverse opere, tra cui un documentario in onore di suo padre intitolato Light Keeps me Company (2000).

Remembering Sven Nykvist. A Conversation with Carl-Gustaf Nykvist

Remembering Sven Nykvist. A Conversation with Carl-Gustaf Nykvist

This year we celebrate the centenary of the birth of Sven Nykvist ASC FCF (Moheda, 3 dicembre 1922 – Stoccolma, 20 settembre 2006), one of the most important and talented cinematographers in the history of cinema: his legendary and iconic work marked the cinematography of the last century. His association with director Ingmar Bergman is legendary. He has also worked with Woody Allen, Roman Polański, Louis Malle, Andrej Tarkovskij, Bob Rafelson. Master of light and shadows, perfectly at ease with black and white as well as with color, during his career he won two Academy Awards for Cries and Whispers (1972) and Fanny and Alexander (1982). We should therefore remember works such as The Virgin Spring (Jungfrukällan, 1960), Through a Glass Darkly (Såsom i en spegel, 1961), Winter Light (Nattvardsgästerna, 1963), The Silence (Tystnaden, 1963), Persona (1966), Scenes from a Marriage (Scener ur ett äktenskap, 1973), The Tenant (Le Locataire, 1974), The Postman Always Rings Twice (1981), The Unbearable Lightness of Being (1988), Crimes and Misdemeanors (1989). Carl-Gustaf is his son: he was also first cinematographer, then directed several works, including a documentary in honor of his father Sven entitled Light Keeps me Company (2000).

L’utopia non è un sogno senza fondamento. Storia e opere di Marc Scialom

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Pochi autori, come Marc Scialom, ci hanno colpito per la tensione utopica della loro opera, per l'incessante indicazione che non c'è altra via che quella di tentare di ricomporre i conflitti, le fratture, che ogni divisione fra gli esseri umani "è falsa". Molte cose che in passato sembravano impossibili, con i secoli sono state realizzate, così Scialom ci dice che non dobbiamo mai smettere di immaginare una Terra senza frontiere, senza divisioni etniche, senza altro rispetto che non quello per tutti gli esseri viventi. In questo momento di regressione ci viene spontaneo pensare a lui, e riproporvi, grazie al testo di Paola Brunetta, una sintesi della sua incredibile storia e della sua complessa opera tra cinema, letteratura, traduzione.

L’umanità la tiene in bocca un cane. Conversazione con Antonio Capuano

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Mentre aspettiamo la notte degli #Oscar 2022, facendo molti in bocca al lupo a Paolo Sorrentino, pubblichiamo un'intervista ad Antonio Capuano, al quale E' stata la mano di dio - in corsa per il miglior film internazionale - dedica un grande omaggio. A un libro intervista con Antonio Capuano, regista tra i più interessanti del panorama italiano, lavorano da due d'anni Armando Andria, Alessia Brandoni e Fabrizio Croce. Il libro sarà pronto a giugno, ma eccone un assaggio!

Il tempo ritrovato. Conversazione con Walter Fasano [seconda parte]

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Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista a Walter Fasano (Bari, 1970), uno dei principali montatori italiani, e regista e sceneggiatore.
Ricordiamo che dal 3 ottobre è su Mubi il film da lui scritto e diretto
Pino, dedicato a Pino Pascali. Lo trovate qui.

Tagliare il tempo. Conversazione con Walter Fasano [prima parte]

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Walter Fasano (Bari, 1970), oggi è uno dei principali montatori italiani, saltuariamente anche regista e sceneggiatore. Fra i film da lui montati, Santa Maradona di Marco Ponti, Il Cartaio, Ti Piace Hitchcock? e La Terza Madre di Dario Argento, Viaggio sola di Maria Sole Tognazzi, 5 è il numero perfetto di Igort e America Latina dei Fratelli D'Innocenzo. È noto internazionalmente per la sua collaborazione con il regista candidato all’Oscar Luca Guadagnino, di cui ha montato tutti i film, dall’esordio The Protagonists, del 1999, fino ai recenti Chiamami col tuo nome e Suspiria. Realizziamo con lui una lunga intervista, in due puntate. la seconda uscirà la prossima settimana.

Il coraggio del fare e quello del dire. Postfazione a "È reale?" di Gianfranco Pannone 

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In occasione della prima presentazione del libro di Gianfranco Pannone - È reale? Guida empatica del cinedocumentarista - al Fondi Film Festival, organizzato da associazione Giuseppe De Santis, (18 settembre, Chiostro San Domenico, ore 21.00), pubblichiamo la postfazione al volume di Daniele Vicari.

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Ritorno all'immediatezza. Conversazione con Fabio Cianchetti sulla collaborazione con Bernardo Bertolucci

Fabio Cianchetti (Bergamo, 1952) è un direttore della fotografia italiano, noto soprattutto per la sua collaborazione con Ricky Tognazzi (Canone inverso, per cui ha vinto il David di Donatello), Saverio Costanzo (La solitudine dei numeri primi e Hungry Hearts), Roberto Benigni (La tigre e la neve), Abel Ferrara (Go Go Tales) e i fratelli Giuseppe e Bernardo Bertolucci.

"Moonwatcher: A Personal Odyssey". Conversazione con il regista Hans Pfleiderer

"Moonwatcher: A Personal Odyssey". Conversazione con il regista Hans Pfleiderer

Hans Pfleiderer è regista e ingegnere. Ha studiato architettura presso l'Università Tecnica di Berlino MFA. Ha lavorato come scenografo e lighting designer con Eric Veensta degli Art Lab Studios di Berlino. Ha completato un MFA in Scenografia all'American Film Institute e ha assistito il leggendario scenografo Robert Boyle. Come consulente visivo ha lavorato per il documentario The Man on Lincolns Nose, candidato all'Oscar nel 2001. Ha progettato il Broadcast Studio per Earthship.TV di James Cameron, i lungometraggi LA Twister, A House on a Hill e molti altri. È stato designer degli effetti visivi e in parte supervisore di Minority Report, Panic Room e diversi spot pubblicitari e video musicali. Attualmente lavora come Project Manager e in varie altre cariche per ARRI. Nel 2018 ha fondato la sua società di produzione tedesca la Hans Pfleiderer Engineering. Come regista ha appena finito di dirigere Moonwatcher: A Personal Odyssey su Dan Richter, meglio conosciuto per il suo lavoro con Stanley Kubrick come coreografo e protagonista nella leggendaria scena di apertura di 2001: Odissea nello spazio (1968). Sir Arthur C. Clarke, autore di 2001 disse di lui: «Dan è l'attore sconosciuto più famoso del mondo».

"Moonwatcher: A Personal Odyssey". Conversation with director Hans Pfleiderer

"Moonwatcher: A Personal Odyssey". Conversation with director Hans Pfleiderer

Hans Pfleiderer is a filmmaker and engineer. He studied architecture at the Technical University Berlin with a diploma. He worked as a stage and lighting designer with Eric Veenstra from ArtLab Studios Berlin. He completed a Master program in Production Design at the American Film Institute and assisted legendary production designer Robert Boyle. As a visual consultant, he worked for the documentary The Man on Lincoln’s Nose, which was nominated for an Oscar in the category Documentary Shorts in 2001. He designed the Broadcast Studio for James Cameron's Earthship.TV, the feature films L.A. Twister, A House on a Hill, and many more. He was Visual Effects Designer and creator of digital storyboards on Minority Report, Panic Room and Supervisor on commercials and music videos. He worked as a project manager and in various other functions for ARRI designing broadcast lighting systems. In 2018 he founded his German production company Hans Pfleiderer Engineering. As a director, he recently completed the feature documentary Moonwatcher: A Personal Odyssey about Dan Richter, best known for his work with Stanley Kubrick as choreographer and star in the legendary opening scene of 2001: A Space Odyssey released in 1968. Sir Arthur C. Clarke, author of 2001 said about him: «Dan is the most famous unknown actor in the world».

Il tempo con Antonioni. Conversazione con Edoardo Ponti

Il tempo con Antonioni. Conversazione con Edoardo Ponti

Edoardo Ponti (Ginevra, 1973), figlio di Sophia Loren e del produttore Carlo Ponti, è regista, sceneggiatore e produttore, saltuariamente anche attore. Nel 2002 esordisce al cinema con Cuori estranei, proseguendo la sua carriera con Coming & Going ed i premiati cortometraggi Away We Stay, Il turno di notte lo fanno le stelle, dall’omonimo racconto di Erri De Luca, e Voce umana, da Jean Cocteau, presentato a Venezia. Il suo film più recente, La vita davanti a sé, tratto dall’omonimo romanzo di Romain Gary e interpretato da Sophia Loren e Renato Carpentieri, è stato uno dei maggiori successi di Netflix nel 2020 ed è stato candidato ai Golden Globe come Miglior film straniero. Nella seconda metà degli anni ’90 Edoardo Ponti è stato l'assistente personale di Michelangelo Antonioni, appena insignito del premio Oscar alla carriera, per la realizzazione di due progetti poi sfumati: Tanto per stare insieme, fortemente desiderato anche da Jack Nicholson, e il fantascientifico Destinazione: Verna, che avrebbe visto Sophia Loren protagonista.

The Time with Antonioni. Conversation with Edoardo Ponti

The Time with Antonioni. Conversation with Edoardo Ponti

Edoardo Ponti (Geneva, 1973), son of Sophia Loren and producer Carlo Ponti, is a director, screenwriter and producer, occasionally also an actor. In 2002 he made his debut in the cinema with Extraneous Hearts, continuing his career with Coming & Going and the award-winning short films Away We Stay, The Night Shift the Stars Do It, from the homonymous story by Erri De Luca, and Human Voice, by Jean Cocteau, presented in Venice. His most recent film, The Life Ahead, based on Romain Gary's novel of the same name and starring Sophia Loren and Renato Carpentieri, was one of Netflix's biggest hits in 2020 and was nominated for a Golden Globe for Best Foreign Film. In the second half of the 90s, Edoardo Ponti was the personal assistant of Michelangelo Antonioni, who had just been awarded the Academy Award for Lifetime Achievement, for the realization of two projects that were later faded: Just to Be Together, strongly desired also by Jack Nicholson, and the science fiction Destination: Verna, which would have seen Sophia Loren protagonist.

Esce "Il nero di Giovanni Vento. Un film e un regista verso l’Italia plurale". Conversazione con Leonardo De Franceschi

Esce "Il nero di Giovanni Vento. Un film e un regista verso l’Italia plurale". Conversazione con Leonardo De Franceschi

Leonardo De Franceschi insegna Storia del cinema all’Università Roma Tre. Si interessa di produzioni audiovisuali riconducibili a soggetti e gruppi subalterni, diasporici e transnazionali e dei modi di negoziazione della narrazione nazionale dominante in Italia. Ha pubblicato numerosi saggi sul cinema del Terzo mondo e del colonialismo, fra cui Lo schermo e lo spettro. Sguardi postcoloniali su Africa e afrodiscendenti (Mimesis Edizioni, 2018). Nel 2020 ha presentato al Festival di Torino un restauro da lui promosso del film Il nero di Giovanni Vento del 1967, “film perduto” del cinema italiano incentrato sul fenomeno dei “figli della Madonna”, vale a dire dei figli dei soldati afroamericani venuti a combattere a Napoli alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Esce ora per Artdigiland il suo saggio Il nero di Giovanni Vento. Un film e un regista verso un’Italia plurale, analisi e storia del film e del suo restauro.